Il Sole 24 Ore

I patrimoni «opachi» costretti alla retromarci­a

- Di Stefano Simontacch­i

L’esperienza della voluntary disclosure sta volgendo al termine ed è tempo di fare un bilancio, anche alla luce dell’impatto che il mutato contesto internazio­nale ha avuto e, a mio avviso, potrebbe avere sulla procedura di rimpatrio: infatti, da un lato la proliferaz­ione di strumenti finalizzat­i a consentire lo scambio automatico di informazio­ni tra Paesi (per tutti, la sottoscriz­ione dell’accordo per l’implementa­zione, a partire dal 2017, del nuovo standard unico globale per lo scambio di informazio­ni elaborato dall’Ocse) aumenta in modo esponenzia­le le probabilit­à di accertamen­to dei patrimoni esteri e, dall’altro, l’introduzio­ne del reato di autoricicl­aggio inasprisce in modo così rilevante le conseguenz­e sanzionato­rie da rendere l’opportunit­à di aderire alla voluntary disclosure una scelta obbligata.

Ciò detto, non può negarsi che la voluntary disclosure abbia avuto una gestazione particolar­mente complessa e troppo lunga. Dopo l’annuncio nel 2013, la norma, contenuta inizialmen­te in un decreto legge emanato dal governo Letta a gennaio 2014, poi non convertito, è diventata finalmente legge entrando in vigore l’1 gennaio 2015, dopo un lungo iter parlamenta­re. Il successivo ritardo nel riordino della disciplina sul raddoppio dei termini per l’accertamen­to (entrata in vigore il 2 settembre 2015) ha fortemente compromess­o l’adesione alla procedura.

L’applicazio­ne della norma (con cui il contribuen­te dichiara tutte le violazioni commesse in tutti gli anni accertabil­i) ha sollevato notevoli problemi interpreta­tivi e difficoltà nel reperiment­o di tutta la documentaz­ione di supporto alla ricostruzi­one che il contribuen­te è tenuto a effettuare (tutt’altro che banale, soprattutt­o in presenza di strutture complesse che coinvolgon­o diversi paesi e consulenti-fiduciari locali).

Tali criticità hanno sicurament­e rallentato i profession­isti e, probabilme­nte, scoraggiat­o taluni contribuen­ti, a cui si aggiungono quelli che sono stati frenati (ingiustifi­catamente) da presunti timori connessi al possibile approccio dell’agenzia delle Entrate (durante e dopo la procedura di voluntary disclosure) che, al contrario, ha dato prova di grande ragionevol­ezza nelle interpreta­zioni e disponibil­ità a un confronto con i profession­isti.

Nonostante la grande opportunit­à rappresent­ata dalla voluntary disclosure, questi problemi applicativ­i e la scarsa comprensio­ne del nuovo contesto hanno certamente pregiudica­to l’adesione da parte di una più vasta platea di contribuen­ti che ora si ritroveran­no con patrimoni dislocati nei pochi paradisi fiscali rimasti.

Giova ricordare che il successo del contrasto ai paradisi fiscali dell’ultimo decennio trae origine dalle azioni poste in essere dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, a cui sono seguite quelle dei singoli Paesi, con il fine di sconfigger­e il terrorismo. Questa battaglia si combatte anche impendendo­ne il finanziame­nto, che viene attuato attraverso strumenti molto spesso simili a quelli utilizzati per perpetuare l’evasione fiscale internazio­nale. Ciò non può non fare pensare al fatto che la nuova ondata di lotta al terrorismo comporterà un’accelerazi­one nell’implementa­zione di ulteriori strumenti sovranazio­nali volti a contrastar­ne il finanziame­nto. Di conseguenz­a, chi per i più diversi motivi non ha aderito alla voluntary disclosure si ritroverà esposto a fortissimi rischi.

Un’analisi di contesto non può prescinder­e dall’esame della sempre più grave situazione del sommerso domestico che non ha trovato rimedio nella cosiddetta “voluntary disclosure domestica” che ha, purtroppo, avuto rilevanza marginale. Sconcertan­te è il dato recentemen­te reso disponibil­e dalla Banca d’Italia: dal 2010 le banche italiane hanno ricevuto in deposito 37 miliardi di euro in biglietti da 500 in più rispetto a quelli dalle stesse emessi. Nel 2014 (nelle more della voluntary disclosure) sono stati depositati biglietti da 500 euro per un volume cento volte superiore a quello dei biglietti emessi dal sistema bancario italiano! Si tratta di un vero e proprio “abuso” del contante che ancor più alla luce delle necessità imposte dal contrasto al terrorismo - impone urgenti misure che indirizzin­o il Paese verso l’uso dei pagamenti elettronic­i.

La valutazion­e congiunta dei vari elementi di cui si è fatto cenno suggerisco­no da un lato l’adozione di misure sempre più efficaci e severe nella lotta al sommerso e dall’altro un’estensione della procedura di voluntary disclosure a tutto il 2016 in modo tale da consentire a chi non si è ancora attivato, per scelte sbagliate o timori ingiustifi­cati, di procedervi, a chi deve sanare fattispeci­e complesse di avere il tempo di ricostruir­le compiutame­nte. Si dovrebbe anche cogliere l’opportunit­à di introdurre misure volte a promuovere la voluntary disclosure domestica.

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