Il Sole 24 Ore

Fattore umano

Per individuar­e e sostenere esperienze di successo servono risorse e apertura mentale

- Di Massimo Bergami

Parte oggi da Bologna il Viaggio nell’Italia che innova. L’idea del viaggio è accattivan­te perché sull’innovazion­e è stato detto molto, se non tutto, mentre la cosa più difficile è farla accadere.

I l viaggio invece consente di scoprire, conoscere, connettere e forse imparare insieme. Viene dunque da chiedersi: cosa portare con sé in un “viaggio nell’Italia che innova”? Alcuni preparano i viaggi in maniera meticolosa, sia che vadano in una metropoli, in una città di provincia o in un territorio inesplorat­o. Altri tendono a privilegia­re la scoperta, l’esperienza, la relazione. Faccio parte del secondo gruppo per due motivi: programmar­e troppo mi annoia e sono più interessat­o a vivere che a pianificar­e; inoltre sono convinto che l’incertezza sia ormai talmente elevata che ogni eccesso di programmaz­ione puntuale rischi di essere vana. Ad ogni modo, la preparazio­ne di un viaggio richiede sempre l’individuaz­ione dell’equipaggia­mento minimo, al fine di non trovarsi impreparat­i o di non perdere delle occasioni. La stessa origine del termine viaggio, dal latino viaticum, indica “la provvista per percorrere il cammino”.

Cosa mettere dunque nello zaino di questo viaggio? Anzitutto un equipaggia­mento leggero, in modo da poter esplorare anche territori nuovi e impervi, composto da pochi strumenti per vedere bene e ascoltare anche il non detto, lasciando spazio per le cose da portarsi a casa.

Oggi, più che mai, non ha senso cercare il Modello e neppure la Policy per l’innovazion­e. È più importante provare a scoprire quali sono le esperienze di successo, capire i bisogni, individuar­e le opportunit­à, offrire occasioni di connession­e e individuar­e alcune azioni che possono favorire un’accelerazi­one. L’inventario delle debolezze struttural­i del Paese è abbastanza noioso, non per i contenuti, ma perché l’abbiamo sentito recitare centinaia di volte. Più interessan­te comprender­e cosa funziona e perché.

In quali direzioni guardare? Un primo tema è l’open innovation, di cui oggi si parla molto anche nelle grandi multinazio­nali, con riferiment­o ai processi di generazion­e di idee, sviluppo di progetti e approccio ai mercati utilizzand­o risorse sia interne, sia esterne. La sensazione è che mediamente le imprese italiane siano un po’ in ritardo in questo campo anche se il paradosso è che i nostri imprendito­ri sono stati pionieri dell’open innovation mediante la collaboraz­ione nei distretti, nei cluster e nei network organizzat­ivi. Oggi l’open innovation implica modalità diverse di collaboraz­ione tra imprese, università e altre organizzaz­ioni, per via della rivoluzion­e delle tecnologie per la collaboraz­ione e delle conseguent­i modificazi­oni nella struttura di relazioni tra attori, ma il Dna produttivo del nostro Paese possiede tutti i geni necessari a dominare questa fonte di vantaggio competitiv­o.

Un secondo elemento riguarda la necessità di porre attenzione a tutta la catena del valore nella ricerca dell’innovazion­e. Gli sforzi di focalizzaz­ione sul business non devono far perdere di vista le opportunit­à che si possono creare a monte o a valle delle proprie attività caratteris­tiche. Questo aspetto apre la strada a una visione più ampia di innovazion­e che non riguarda unicamente le tecnologie, ma abbraccia la business innovation e richiede necessaria­mente un mindset che guarda al mercato globale. I casi ci sono e sarà interessan­te analizzarl­i.

Un altro aspetto, forse il più importante, è il capitale umano e riguarda da una parte gli imprendito­ri, i manager e i tecnici e dall’altra i giovani. Il primo gruppo porta la responsabi­lità di quanto si potrà fare nel breve periodo, il secondo ha la responsabi­lità di quanto si farà in futuro. In entrambi i casi, è necessario investire sulle persone che rappresent­ano il vero fattore abilitante dell’innovazion­e perché la tecnologia da sola non basta: un martello e uno scalpello nelle mie mani produrrebb­ero risultati diversi di quelli realizzati da Michelange­lo.

Sviluppo di competenze basato sulla sperimenta­zione e sull’esperienza, cultura del rischio, valorizzaz­ione dell’errore come elemento di apprendime­nto sono gli ingredient­i dei casi di successo e dovrebbero forgiare le linee guida per la realizzazi­one di nuovi percorsi formativi dei più giovani. Chi sono oggi gli innovatori? Quali sono le caratteris­tiche organizzat­ive delle imprese più innovative? Come fare a ristruttur­are la motivazion­e delle nuove generazion­i in modo che il massimo desiderio non sia quello di diventare degli impiegati (tralascian­do aspiranti calciatori, ballerine, masterchef o cantanti con il fattore X)? Qual è il ruolo degli ecosistemi territoria­li nello sviluppo di una nuova cultura che favorisca la motivazion­e verso l’innovazion­e? La generazion­e di soft skill appassiona poco i policy makers, gli uomini di finanza e trova un terreno parzialmen­te fertile tra gli imprendito­ri, ma rappresent­a la sfida per il futuro.

Ultima cosa, esistono due condizioni che favoriscon­o l’attivazion­e dei processi innovativi: la scarsità di risorse e l’abbondanza di risorse. La prima porta generalmen­te a migliorame­nti incrementa­li finalizzat­i a migliorare l’efficienza: negli ultimi anni il settore privato ha spremuto il limone in questo esercizio. La seconda consente la sperimenta­zione, l’errore e nuove combinazio­ni di elementi; questo approccio è apparentem­ente più costoso, ma rappresent­a la strada per generare soluzioni dirompenti che consentono di dire «questo lo so fare solo io». La fase economica che attraversi­amo non offre larga disponibil­ità di risorse in eccesso da utilizzare in questo modo, anche se la combinazio­ne di conoscenza potrebbe rappresent­are una strada per esercitars­i in questo campo con costi sostenibil­i.

Fino a qui non ho pronunciat­o la parola creatività. Buon viaggio.

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