Le mosse anti-crimine
Per alcuni passi che debbono ancora essere compiuti, altri, nella lotta transnazionale all’economia criminale e al riciclaggio, sono stati compiuti di recente.
Il decreto legislativo del 7 agosto 2015 (il n. 137, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 2 settembre) disciplina e rende attuabile la confisca dei beni in tutti i Paesi dell’Unione europea, grazie all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca. Da pochi mesi, dunque, le autorità giudiziarie di uno Stato membro della Ue riconoscono ed eseguono nel territorio di quello stesso Stato una sentenza di confisca emessa dalle autorità giudiziarie di un altro Stato membro e il valore dei beni confiscati viene diviso equamente tra lo Stato di emissione e quello di esecuzione.
È solo uno dei punti della risoluzione del Parlamento europeo contro il crimine organizzato, corruzione e riciclaggio approvata il 23 ottobre 2013, nella quale spiccano: 1 l’abolizione del segreto bancario; 1 l’esclusione da gare d’appalto per aziende condannate con sentenza passata in giudicato per reati di mafia, corruzione, riciclaggio; 1 la confisca dei beni anche in assenza di condanna e il riutilizzo dei patrimoni confiscati a scopi pubblici e sociali; 1 il pieno accesso alle informazioni relative ai titolari effettivi di società, fondazioni e trust.
Rispetto alle indicazioni europee, quelli non ancora tradotti nel nostro ordinamento non sono, però, gli unici tasselli mancanti. Il ge- nerale Stefano Screpanti, a capo del III Reparto Operazioni del Comando generale della Guardia di Finanza, il 29 luglio 2015 è stato chiaro di fronte al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen: «In una prospettiva investigativa è fondamentale garantire la più ampia tracciabilità dei flussi finanziari, attraverso la previsione di standardizzate modalità di registrazione e conservazione delle informazioni nei vari paesi dell’Ue, che consentano di individuare origine, destinazione e beneficiari dei movimenti in caso di operatività transfrontaliere».
Le riflessioni di Screpanti spaziarono a largo raggio sui rischi dell’economia criminale, il reimpiego dei capitali accumulati illecitamente e le forme di finanziamento al terrorismo ma la sua attenzione si era appuntata lì, a quel circuito dei money transfer al quale aveva dedicato larga parte della sua audizione. In particolare, al circuito finanziario degli operatori comunitari, sottoposti alla vigilanza delle autorità del Paese d’origine, che devono comunicare (cosiddetto “passaporto comunitario”) alla Banca d’Italia l’avvio dell’operatività in Italia e agli agenti che operano su mandato di istituti di pagamento nazionali o comunitari e rappresentano l’ultimo anello della catena, vale a dire i “punti vendita” a diretto contatto con la clientela, collocati in strutture gestite, per lo più, da cittadini stranieri.
Lo stesso grado di attenzione e di armonizzazione transnazionale è stato richiesto dalla Gdf in audizione anche con riferimento all’utilizzo della moneta elettronica. Il crescente grado di finanziarizzazione dei circuiti economici richiede, infatti, di monitorare con molta attenzione l’utilizzo di carte di pagamento cosiddette “ricaricabili” che, pur presentando caratteristiche e funzionalità di un bancomat, non richiedono la presenza di un conto corrente di appoggio, ma esclusivamente la costituzione, attraverso versamenti in contanti o bonifici, delle disponibilità finanziarie necessarie a operare.
L’ALTRO FRONTE La Guardia di finanza in audizione ha chiesto di monitorare l’uso delle carte ricaricabili senza conto corrente