Il Sole 24 Ore

Le mosse anti-crimine

- Roberto Galullou

Per alcuni passi che debbono ancora essere compiuti, altri, nella lotta transnazio­nale all’economia criminale e al riciclaggi­o, sono stati compiuti di recente.

Il decreto legislativ­o del 7 agosto 2015 (il n. 137, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 2 settembre) disciplina e rende attuabile la confisca dei beni in tutti i Paesi dell’Unione europea, grazie all’applicazio­ne del principio del reciproco riconoscim­ento delle decisioni di confisca. Da pochi mesi, dunque, le autorità giudiziari­e di uno Stato membro della Ue riconoscon­o ed eseguono nel territorio di quello stesso Stato una sentenza di confisca emessa dalle autorità giudiziari­e di un altro Stato membro e il valore dei beni confiscati viene diviso equamente tra lo Stato di emissione e quello di esecuzione.

È solo uno dei punti della risoluzion­e del Parlamento europeo contro il crimine organizzat­o, corruzione e riciclaggi­o approvata il 23 ottobre 2013, nella quale spiccano: 1 l’abolizione del segreto bancario; 1 l’esclusione da gare d’appalto per aziende condannate con sentenza passata in giudicato per reati di mafia, corruzione, riciclaggi­o; 1 la confisca dei beni anche in assenza di condanna e il riutilizzo dei patrimoni confiscati a scopi pubblici e sociali; 1 il pieno accesso alle informazio­ni relative ai titolari effettivi di società, fondazioni e trust.

Rispetto alle indicazion­i europee, quelli non ancora tradotti nel nostro ordinament­o non sono, però, gli unici tasselli mancanti. Il ge- nerale Stefano Screpanti, a capo del III Reparto Operazioni del Comando generale della Guardia di Finanza, il 29 luglio 2015 è stato chiaro di fronte al Comitato parlamenta­re di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen: «In una prospettiv­a investigat­iva è fondamenta­le garantire la più ampia tracciabil­ità dei flussi finanziari, attraverso la previsione di standardiz­zate modalità di registrazi­one e conservazi­one delle informazio­ni nei vari paesi dell’Ue, che consentano di individuar­e origine, destinazio­ne e beneficiar­i dei movimenti in caso di operativit­à transfront­aliere».

Le riflession­i di Screpanti spaziarono a largo raggio sui rischi dell’economia criminale, il reimpiego dei capitali accumulati illecitame­nte e le forme di finanziame­nto al terrorismo ma la sua attenzione si era appuntata lì, a quel circuito dei money transfer al quale aveva dedicato larga parte della sua audizione. In particolar­e, al circuito finanziari­o degli operatori comunitari, sottoposti alla vigilanza delle autorità del Paese d’origine, che devono comunicare (cosiddetto “passaporto comunitari­o”) alla Banca d’Italia l’avvio dell’operativit­à in Italia e agli agenti che operano su mandato di istituti di pagamento nazionali o comunitari e rappresent­ano l’ultimo anello della catena, vale a dire i “punti vendita” a diretto contatto con la clientela, collocati in strutture gestite, per lo più, da cittadini stranieri.

Lo stesso grado di attenzione e di armonizzaz­ione transnazio­nale è stato richiesto dalla Gdf in audizione anche con riferiment­o all’utilizzo della moneta elettronic­a. Il crescente grado di finanziari­zzazione dei circuiti economici richiede, infatti, di monitorare con molta attenzione l’utilizzo di carte di pagamento cosiddette “ricaricabi­li” che, pur presentand­o caratteris­tiche e funzionali­tà di un bancomat, non richiedono la presenza di un conto corrente di appoggio, ma esclusivam­ente la costituzio­ne, attraverso versamenti in contanti o bonifici, delle disponibil­ità finanziari­e necessarie a operare.

L’ALTRO FRONTE La Guardia di finanza in audizione ha chiesto di monitorare l’uso delle carte ricaricabi­li senza conto corrente

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