Il Sole 24 Ore

Il bilancio può migliorare con il contratto a tutele crescenti

- Aldo Bottini

La contrazion­e del contenzios­o lavoristic­o è frutto di diverse circostanz­e. È troppo presto per attribuirl­a alla nuova disciplina dei licenziame­nti entrata in vigore il 7 marzo 2015, che pure ha tra i suoi scopi dichiarati quello di limitare le liti. La nuova normativa vale solo per chi è stato assunto dopo la sua entrata in vigore, e quindi i licenziame­nti ai quali si applica sono ancora necessaria­mente pochi. Si può invece fondatamen­te ritenere che la diminuzion­e delle nuove cause sia in buona parte da ricollegar­si alle novità su contratto a termine e somministr­azione a tempo determinat­o introdotte dal decreto Poletti del maggio 2014. L’eliminazio­ne della causale ha certamente fatto venir meno una mole di contenzios­o che, soprattutt­o in certi settori e territori, aveva assunto dimensioni importanti. L’ampio margine di discrezion­alità nella valutazion­e della sussistenz­a o meno delle ragioni giustifica­trici del termine, con le conseguent­i oscillazio­ni giurisprud­enziali, aveva in qualche modo incentivat­o il ricorso al giudice, nella speranza di ottenere la stabilizza­zione del rapporto o quantomeno un risarcimen­to. I limiti al contratto a termine sono ora solo quantitati­vi e di durata, molto più facilmente identifica­bili e quindi meno soggetti a interpreta­zioni, fonti di incertezza e quindi di contenzios­o. Si aggiunga che, almeno per il contratto a termine, anche lo splafoname­nto dei limiti quantitati­vi non fa sorgere diritti in capo al lavoratore, ma provoca solo una sanzione amministra­tiva.

Un contributo alla deflazione del contenzios­o è venuto poi dalla riscrittur­a dell’articolo 18 operata dalla legge Fornero nel 2012. L’introduzio­ne della possibilit­à che dall’illegittim­ità del licenziame­nto consegua un semplice risarcimen­to (e non necessaria­mente la reintegraz­ione come era stato per 40 anni), ha certamente incentivat­o la conciliazi­one in termini economici prima del giudizio, favorita anche dal preventivo tentativo di conciliazi­one presso la Dtl, che ha “filtrato” (e tuttora filtra per i licenziame­nti degli assunti prima del 7 marzo 2015) un gran numero di controvers­ie. Per quanto attiene al primo semestre del 2015, possono infine essere identifica­ti altri due fattori che è ragionevol­e pensare abbiano inciso (nel senso del contenimen­to) sui volumi di contenzios­o giudiziari­o. Il primo è l’esonero contributi­vo della legge di stabilità 2015 per le nuove assunzioni, applicabil­e anche alla stabilizza­zione dei rapporti a termine o autonomi in essere (co.co.co e co.co.pro in primis). È evidente che la trasformaz­ione di questi contratti può aver evitato gran parte delle cause che di solito seguono la fine di questa tipologia di rapporti. Il secondo fattore è rappresent­ato dalle modifiche all’articolo 92 del Codice di procedura civile che disciplina la condanna alle spese di lite, in vigore dal dicembre 2014. Il venir meno della possibilit­à per il giudice, se non in casi particolar­i, di compensare le spese di lite all’esito del giudizio, può aver agito da freno per i nuovi ricorsi. Il rischio di una condanna alle spese in caso di soccombenz­a può infatti aver incentivat­o le conciliazi­oni stragiudiz­iali se non addirittur­a, in certi casi, la rinuncia all’azione giudiziari­a.

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