Senza un vero «codice» non c’è sistema tributario
Ritorna oggi la rubrica «Focus Anti», appuntamento periodico (l’ultimo lunedì del mese) con commenti e approfondimenti sulla materia fiscale, in collaborazione con l’Associazione nazionale tributaristi italiani (Anti)
Le regole, per essere rispettate, devono essere chiare: non solo ragionevoli, ma stabili nel tempo e soprattutto chiare. I rattoppi e le manutenzioni – cui viene sottoposto l’ordinamento tributario ogni anno con la legge di Stabilità – e le periodiche manutenzioni straordinarie delle cosiddette leggi (delega) di riforma non assolvono a quei ben noti (quattro) principi giuridico-amministrativi che Adam Smith aveva elaborato già nel 1776. E che sono tuttora non solo inattuati, ma disattesi, nonostante qualche richiamo dottrinale, anche recente, e qualche meritorio tentativo legislativo: ci riferiamo alla legge 825/1971, di (vera) riforma tributaria; alla legge 212/2000 sullo Statuto dei diritti del contribuente e, con obiettivi meno ambiziosi e risultati più contenuti, alla – pur apprezzabile – riforma Visco del 1996/1997; all’inattuata riforma Tremonti del 2004 e all’appena conclusa revisione dell’ordinamento basata sulla legge 23/2014.
È necessario un salto di qualità, perché la fiscalità non è solo uno strumento per reperire risorse, ma prima ancora un mezzo per regolare l’economia, che – sia a livello di imprese che di persone fisiche – richiede “certezze”. Solo l’affidabilità delle leggi e della loro applicazione (sia a livello amministrativo che giurisdizionale) consente di prevedere i costi e limitare i rischi e, quindi, di operare con la dovuta consapevolezza, mentre la norma incerta preoccupa i contribuenti corretti e incoraggia quelli spavaldi.
È vero che per un buon “sistema tributario” non basta una legislazione equilibrata e al passo con i tempi (essendo indispensabile anche una amministrazione finanziaria efficiente e un adeguato apparato giudiziario), ma è anche vero che ogni opera importante deve partire dalle fondamenta.
Serve, dunque, un progetto organico, una legge-quadro che consideri l’ordinamento tributario nel suo complesso (sia a livello centrale che locale), in modo da convogliare nella direzione giusta anche i provvedimenti minori o di dettaglio, facendoli diventare tasselli di un (preordinato) mosaico. E, quindi, si deve: e prima di tutto, fare un accurato inventario di tutte le disposizioni tributarie (primarie e secondarie) in vigore; r poi, procedere a una revisione del testo delle attuali disposizioni, adottando espressioni precise e definite, tenendo conto dei principi costituzionali e comunitari; t indi, raccogliere le disposizioni revisionate in una serie di testi unici relativi alle norme sostanziali (sui vari tributi), a quelle procedimentali (sull’accertamento, sugli istituti deflativi, sulla riscossione e le sanzioni) e a quelle processuali (con l’attuazione del processo tributario telematico e una maggiore attenzione nei confronti degli organi giudicanti); u e, infine – dopo una idonea sedimentazione – e, con il contributo anche degli operatori professionali “pratici”, realizzare (finalmente) il codice tributario unitario, costituito da una “parte generale” (sui “princìpi”, stabili nel tempo) e una “parte speciale” (sui vari tributi e comparti): al fine di semplificare, razionalizzare e stabilizzare tutta la normativa tributaria (erariale e locale).
Passano gli anni, cambiano le denominazioni e i numeri delle leggi, si rinnova la composizione del Parlamento, si avvicendano i Governi e i ministri, ma continua a mancare un progetto organico e coerente, che consenta – anche all’Italia – di passare dall’attuale ordinamento tributario, frammentario e mutevole, a un sistema ordinato e stabile nel tempo: che si riporti ai (già tante volte evocati) principi di chiarezza nella formulazione dei testi legislativi; certezza nei diritti e nei doveri dei contribuenti; semplificazione degli adempimenti; proporzionalità nelle pretese e nelle sanzioni. Il tutto applicato (e fatto applicare) con equilibrato rigore da una amministrazione finanziaria motivata e monitorato da una giustizia tributaria gestita da un apparato giudiziario professionale.
Un tale “diritto vivente” otterrebbe il (doveroso) consenso dei contribuenti, che si sentirebbero finalmente “cittadini”: è il «sistema fiscale equo, trasparente e orientato alla crescita» evocato (ma non certo realizzato) dalla legge 23/2014, strumento fondamentale di progresso, competitività e attrattività del nostro Paese: per un diritto tributario al servizio dell’economia.
ILDIFETTOSTORICO L’ordinamento resta frammentario e mutevole tra leggi di Stabilità e tentativi di riforma
LA LINEA D’INTERVENTO Il testo delle norme dovrebbe essere «revisionato» utilizzando espressioni precise e definite