Frode dell’associazione sportiva: lo sponsor salva la deduzione
pMotivare l’indeducibilità delle spese pubblicitarie sostenute dalle imprese solamente dimostrando le irregolarità amministrative compiute dall’associazione sportiva dilettantistica (Asd) beneficiaria non è sufficiente a fondare un legittimo avviso di accertamento. Così ha deciso la Ctp di Forlì 237/02/2015 (presidente Roccari, relatore Checchi).
Le frequenti verifiche che negli ultimi anni hanno interessato il mondo dello sport dilettantistico sono alla base di un rilevante numero di accertamenti, non solo nei confronti delle Asd (generalmente per violazione della legge 398/91 e per sovrafatturazione delle prestazioni pubblicitarie o di sponsorizzazione), ma anche delle imprese che hanno sostenuto i costi contestati. Gli uffici recuperano tutti (o buona parte) di tali costi, sostenendone l’indeducibilità conseguente alla (parziale) inesistenza delle operazioni sottostanti.
Come nel caso esaminato, spesso manca una prova diretta della sovrafatturazione riscontrabile presso l’impresa destinataria delle fatture (quale potrebbe essere la restituzione “in nero” di parte dell’importo).
L’inesistenza, però, viene motivata dalle molteplici irregolarità amministrative riscontrate presso l’Asd, tra cui l’apertura di una pluralità di partite Iva “artificiali” per evitare il superamento dei limiti quantitativi imposti dall’articolo 1 della legge 398/91.
Parte della giurisprudenza (si vedano Ctp Cremona 182/03/2014 e Ctp Novara 2367/06/2015) ritiene questo “automatismo accertativo” insufficiente a livello probatorio. Per i giudici forlivesi «a fronte della contestazione motivata solamente dall’estensione della condotta fraudolenta alle imprese riceventi, senza alcuna attività di indagine specifica nei confronti di queste ultime, l’impianto contestativo dell’ufficio presenta un’evidente debolezza».
L’irregolare comportamento dell’associazione «non può automaticamente coinvolgere nell’illegittimità anche la società ricorrente, rendendola automaticamente consapevole partecipe della condotta fraudolenta di quest’ultima».
Una volta accertata la natura di spese pubblicitarie dei costi sostenuti (ai sensi dell’articolo 90, comma 8, legge 289/2002), nonché la loro inerenza all’attività di impresa svolta dalla società ricorrente, i giudici in assenza di altri elementi hanno a accolto la tesi difensiva: ogni volta che presso un’impresa viene accertata una sovrafatturazione per una certa percentuale di ricavi, non pare sufficiente, a livello probatorio, limitarsi a “ribaltare” la medesima percentuale su tutti i clienti. Non è affatto detto (e, comunque, va dimostrato) che tutti conoscevano la frode e che abbiano, coscientemente, deciso di parteciparvi in egual misura. Le responsabilità vanno accertate singolarmente.
LA VICENDA Nel caso esaminato mancava una prova della sovrafatturazione presso l’impresa che aveva sostenuto le spese