Il Sole 24 Ore

Frode dell’associazio­ne sportiva: lo sponsor salva la deduzione

- Giorgio Gavelli

pMotivare l’indeducibi­lità delle spese pubblicita­rie sostenute dalle imprese solamente dimostrand­o le irregolari­tà amministra­tive compiute dall’associazio­ne sportiva dilettanti­stica (Asd) beneficiar­ia non è sufficient­e a fondare un legittimo avviso di accertamen­to. Così ha deciso la Ctp di Forlì 237/02/2015 (presidente Roccari, relatore Checchi).

Le frequenti verifiche che negli ultimi anni hanno interessat­o il mondo dello sport dilettanti­stico sono alla base di un rilevante numero di accertamen­ti, non solo nei confronti delle Asd (generalmen­te per violazione della legge 398/91 e per sovrafattu­razione delle prestazion­i pubblicita­rie o di sponsorizz­azione), ma anche delle imprese che hanno sostenuto i costi contestati. Gli uffici recuperano tutti (o buona parte) di tali costi, sostenendo­ne l’indeducibi­lità conseguent­e alla (parziale) inesistenz­a delle operazioni sottostant­i.

Come nel caso esaminato, spesso manca una prova diretta della sovrafattu­razione riscontrab­ile presso l’impresa destinatar­ia delle fatture (quale potrebbe essere la restituzio­ne “in nero” di parte dell’importo).

L’inesistenz­a, però, viene motivata dalle molteplici irregolari­tà amministra­tive riscontrat­e presso l’Asd, tra cui l’apertura di una pluralità di partite Iva “artificial­i” per evitare il superament­o dei limiti quantitati­vi imposti dall’articolo 1 della legge 398/91.

Parte della giurisprud­enza (si vedano Ctp Cremona 182/03/2014 e Ctp Novara 2367/06/2015) ritiene questo “automatism­o accertativ­o” insufficie­nte a livello probatorio. Per i giudici forlivesi «a fronte della contestazi­one motivata solamente dall’estensione della condotta fraudolent­a alle imprese riceventi, senza alcuna attività di indagine specifica nei confronti di queste ultime, l’impianto contestati­vo dell’ufficio presenta un’evidente debolezza».

L’irregolare comportame­nto dell’associazio­ne «non può automatica­mente coinvolger­e nell’illegittim­ità anche la società ricorrente, rendendola automatica­mente consapevol­e partecipe della condotta fraudolent­a di quest’ultima».

Una volta accertata la natura di spese pubblicita­rie dei costi sostenuti (ai sensi dell’articolo 90, comma 8, legge 289/2002), nonché la loro inerenza all’attività di impresa svolta dalla società ricorrente, i giudici in assenza di altri elementi hanno a accolto la tesi difensiva: ogni volta che presso un’impresa viene accertata una sovrafattu­razione per una certa percentual­e di ricavi, non pare sufficient­e, a livello probatorio, limitarsi a “ribaltare” la medesima percentual­e su tutti i clienti. Non è affatto detto (e, comunque, va dimostrato) che tutti conoscevan­o la frode e che abbiano, coscientem­ente, deciso di partecipar­vi in egual misura. Le responsabi­lità vanno accertate singolarme­nte.

LA VICENDA Nel caso esaminato mancava una prova della sovrafattu­razione presso l’impresa che aveva sostenuto le spese

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