Il parto anonimo prevale sul diritto a conoscere le origini
pNiente dichiarazione giudiziale di maternità nei confronti di una donna che al momento del parto ha dichiarato di voler rimanere anonima. Lo ha deciso il Tribunale di Milano (presidente Bichi, estensore Anna Cattaneo) con una pronuncia del 14 ottobre scorso sul tema molto controverso del diritto alla conoscenza delle origini.
Il caso muoveva da una domanda di dichiarazione giudiziale di maternità (articolo 269 del Codice civile) promossa da una donna che, maggiorenne, era rimasta orfana del padre e privata di ogni sostegno morale ed economico, non essendo stata riconosciuta dalla madre alla nascita. Ciò nondimeno, essendo riuscita a scoprire la della genitrice, l’ aveva evocata in giudizio affinché il Tribunale la dichiarasse madre della ricorrente, con ogni conseguenza di legge, in primis, l’obblig odi aiutarla economicamente a mantenersi.
Ma il Tribunale (prima sezione civile) ha affermato che non è ammissibile la dichiarazione giudiziale di maternità nei confronti di una donna che al momento del parto ha dichiarato di non voler essere nominata, poiché altrimenti verrebbe frustrata la ratio della intera disciplina, ravvisabile «non solo nell’esigenza di salvaguardare la famiglia legittima e l’onore della madre», ma anche di «impedire che onde evitare nascite indesiderate, si faccia ricorso ad alterazioni di stato o a soluzioni ben più gravi quali aborti o infanticidi».
La ricorrente riteneva che quest’ ultimo argomento non potesse essere speso, alla luce delle pronunce della Corte costituzionale( la 278 del 2013) e della Corte europea dei diritti dell’uomo (del 2012, Godelli c/ Italia).
Ma, secondo i giudici milanesi sia la pronuncia Godelli sia la sentenza della Consulta, «confermando la perdurante validità del fondamento costituzionale del diritto all’oblio della partoriente hanno censuratola“cristallizzazione” el ’” immobilizzazione” del diritto della madre, e il fatto che non siano presenti strumenti che consentano di indagare la perdurante attualità dalla scelta della madre trascorsi numerosi anni dalla sua espressione».
IL DIRITTO ALL’OBLIO No può essere pronunciata una dichiarazione giudiziale di maternità per una donna che, alla nascita, ha dichiarato di non voler essere nominata
In particolare, la Corte costituzionale ha individuato il punto di equilibrio trai contrappostiinteressi, in conformità alla Corte Ue, nella reversibilità dell’anonimato e soprattutto nella possibilità per l’adottato di dare impulso ad una procedura che consenta di verificare se persiste ancora la volontà di mantenerlo o se la donna non abbia mutato la propria volontà.
Secondo il Tribunale di Milano, le Corti sono però risultate ferme nel ritenere che «la volontà della madre di rimanere anonima, allorché non vi sia espressione di un diverso avviso , sia degna di tutela e debba prevalere sull’interesse del figlio a conoscere le proprie origini». In altri termini: diritto alla conoscenza delle origini sì, ma se la madre consente.