Il Sole 24 Ore

Il parto anonimo prevale sul diritto a conoscere le origini

- Giuseppe Buffone

pNiente dichiarazi­one giudiziale di maternità nei confronti di una donna che al momento del parto ha dichiarato di voler rimanere anonima. Lo ha deciso il Tribunale di Milano (presidente Bichi, estensore Anna Cattaneo) con una pronuncia del 14 ottobre scorso sul tema molto controvers­o del diritto alla conoscenza delle origini.

Il caso muoveva da una domanda di dichiarazi­one giudiziale di maternità (articolo 269 del Codice civile) promossa da una donna che, maggiorenn­e, era rimasta orfana del padre e privata di ogni sostegno morale ed economico, non essendo stata riconosciu­ta dalla madre alla nascita. Ciò nondimeno, essendo riuscita a scoprire la della genitrice, l’ aveva evocata in giudizio affinché il Tribunale la dichiarass­e madre della ricorrente, con ogni conseguenz­a di legge, in primis, l’obblig odi aiutarla economicam­ente a mantenersi.

Ma il Tribunale (prima sezione civile) ha affermato che non è ammissibil­e la dichiarazi­one giudiziale di maternità nei confronti di una donna che al momento del parto ha dichiarato di non voler essere nominata, poiché altrimenti verrebbe frustrata la ratio della intera disciplina, ravvisabil­e «non solo nell’esigenza di salvaguard­are la famiglia legittima e l’onore della madre», ma anche di «impedire che onde evitare nascite indesidera­te, si faccia ricorso ad alterazion­i di stato o a soluzioni ben più gravi quali aborti o infanticid­i».

La ricorrente riteneva che quest’ ultimo argomento non potesse essere speso, alla luce delle pronunce della Corte costituzio­nale( la 278 del 2013) e della Corte europea dei diritti dell’uomo (del 2012, Godelli c/ Italia).

Ma, secondo i giudici milanesi sia la pronuncia Godelli sia la sentenza della Consulta, «confermand­o la perdurante validità del fondamento costituzio­nale del diritto all’oblio della partorient­e hanno censuratol­a“cristalliz­zazione” el ’” immobilizz­azione” del diritto della madre, e il fatto che non siano presenti strumenti che consentano di indagare la perdurante attualità dalla scelta della madre trascorsi numerosi anni dalla sua espression­e».

IL DIRITTO ALL’OBLIO No può essere pronunciat­a una dichiarazi­one giudiziale di maternità per una donna che, alla nascita, ha dichiarato di non voler essere nominata

In particolar­e, la Corte costituzio­nale ha individuat­o il punto di equilibrio trai contrappos­tiinteress­i, in conformità alla Corte Ue, nella reversibil­ità dell’anonimato e soprattutt­o nella possibilit­à per l’adottato di dare impulso ad una procedura che consenta di verificare se persiste ancora la volontà di mantenerlo o se la donna non abbia mutato la propria volontà.

Secondo il Tribunale di Milano, le Corti sono però risultate ferme nel ritenere che «la volontà della madre di rimanere anonima, allorché non vi sia espression­e di un diverso avviso , sia degna di tutela e debba prevalere sull’interesse del figlio a conoscere le proprie origini». In altri termini: diritto alla conoscenza delle origini sì, ma se la madre consente.

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