Ma rischio ingorgo per le stazioni uniche
pPer sfruttare l’occasione offerta dallo sblocco degli avanzi per la realizzazione di investimenti le amministrazioni comunali devono fare i conti con l’entrata in vigore del sistema previsto dall’articolo 33, comma 3-bis, del Dlgs 163/2006, che obbliga gli enti non capoluogo ad avvalersi delle Unioni, delle stazioni uniche appaltanti presso le Province, dei soggetti aggregatori (in particolare quelli regionali e le Città metropolitane) oppure a gestire le gare in associazione con altri Comuni sulla base di una convenzione.
I margini per operare in modo autonomo sono ristretti in quanto, a differenza di quanto previsto dalla stessa norma del Codice come deroga per le acquisizioni di beni e servizi, le amministrazioni non possono utilizzare gli strumenti elettronici per gestire gare “in proprio”. L’unico spazio è concesso ai Comuni non capoluogo con più di 10mila abitanti, che possono acquisire lavori mediante affidamento diretto entro i 40mila euro.
Il vincolo per i Comuni con meno di 10mila abitanti (che devono pertanto utilizzare anche per lavori di importo molto limitato il modulo aggregativo cui aderiscono) è in fase di superamento, poiché nel Ddl stabilità 2016 ne è prevista l’abrogazione. Nel tempo che resta fino al 31 dicembre i Comuni che intendono utilizzare gli avanzi, essendo tenuti ad indire una gara, devono attivarsi rapidamente per farla gestire dal modello aggregativo prescelto, rischiando diversamente di vedere vanificata la possibilità di sblocco dell’avanzo.
È però evidente come il sistema prefigurato nel 2014 venga mantenuto, prevedendo tre livelli: l’intervento dei soggetti aggregatori per macroacquisizioni di beni, servizi e lavori di manutenzione (con individuazione specifica delle tipologie e dei volumi di riferimento), l’attività dei modelli aggregativi su base locale (peraltro con uno schema diffuso anche nell’ambito della sanità) nello spazio soprasoglia e l’operatività limitata delle singole amministrazioni entro la soglia comunitaria per i beni e servizi, nonché entro i 40mila euro per i lavori.
Questo quadro è però in evoluzione, poiché nel Ddl delega di recepimento delle direttive comunitarie su appalti e concessioni il criterio
NUOVO CAMBIO DI ROTTA Nel recepimento della direttiva appalti si esclude la possibilità di ricorrere alle convenzioni fra enti locali
relativo all’aggregazione su base locale prevede che sia obbligatorio per i Comuni non capoluogo il ricorso a forme di aggregazione o centralizzazione delle committenze, a livello di Unione dei comuni, ove esistenti, o ricorrendo ad altro soggetto aggregatore secondo la normativa vigente.
Deriva da questa impostazione una prospettiva che ridurrebbe i margini di scelta per i Comuni non capoluogo, obbligandoli a rivolgersi all’unione (se esistente) o, in alternativa, ai soggetti aggregatori (principalmente quelli regionali), eliminando le stazioni uniche e la possibilità di convenzionamento con altri enti nella stessa condizione.
Verrebbe meno, pertanto, l’operatività di molte centrali di committenza locali costituitesi in questi mesi non solo tra enti di dimensioni ridotte, ma anche tra realtà molto importanti.