Il Sole 24 Ore

Dipendente demansiona­to, risponde solo il dirigente

- Arturo Bianco

pLa responsabi­lità erariale determinat­a dal risarcimen­to dei danni determinat­i dal demansiona­mento di un dipendente matura solo in capo al dirigente responsabi­le e gli amministra­tori non sono responsabi­li, neppure per i maggiori oneri causati dalla proposizio­ne dell’appello. Sono questi i principi affermati dalla sentenza 139/2015 della sezione giurisdizi­onale della Corte dei Conti del Veneto. Il suo contenuto sembra “anticipare” l’attuazione del principio affermato dalla legge Madia, la n. 124/2015, che rimette al decreto delegato sulla dirigenza pubblica – da adottare entro il prossimo mese di agosto- la «ridefinizi­one del rapporto tra responsabi­lità dirigenzia­le e responsabi­lità amministra­tivo-contabile, con particolar­e riferiment­o alla esclusiva imputabili­tà ai dirigenti della responsabi­lità per l’attività gestionale». Ma dà attuazione a quanto previsto per gli enti locali dal testo unico delle leggi sull’ordinament­o locale.

Nel caso oggetto della sentenza, una dipendente a tempo indetermin­ato utilizzata nell’ufficio di staff di un sindaco, a seguito dell’ insediamen­to di una nuova amministra­zione, era stata progressiv­amente “esautorata”, non le erano stati assegnati incarichi corrispond­enti e anzi era stata costretta «per un lungo periodo alla quasi totale inoperosit­à ». Elementi accertati da una sentenza del giudice del lavoro, che ha condannato­il Comune a un elevato risarcimen­to del danno conseguent­e al demansiona­mento. Di questo danno è stato ritenuto responsabi­le esclusivam­ente il segretario comunale, che svolgeva anche il compito di dirigente del settore personale.

La sentenza stabilisce con molta nettezza due principi. In primo luogo, la condanna inflitta dal giudice del lavoro determina la maturazion­e di responsabi­lità amministra­tiva.

In secondo luogo, la condotta del segretario-responsabi­le del personale «è connotata da colpa grave, in consideraz­ione dell’apicalità e molteplici­tà dei ruoli rivestiti che avrebbero consentito un’ immediata ed efficace soluzione della situazione insorta con la dipendente, nonché in consideraz­ione del lungo protrarsi nel tempo dei comportame­nti inadeguati».

La sentenza assolve inoltre gli amministra­tori dall’imputazion­e di aver determinat­o ulteriori danni con la proposizio­ne dell’appello, in quanto questa scelta era basata su una «ragionevol­e motivazion­e», costituita dal fatto che la proposta di delibera era corredata dal parere tecnico favorevole.

Questa sentenza è basata sui principi affermati dalla legislazio­ne vigente: basta fare riferiment­o alle previsioni contenute nell’articolo 107, comma 6, del Dlgs 267/2000, secondo il quale «i dirigenti sono direttamen­te responsabi­li, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell’ente, della correttezz­a amministra­tiva, della efficienza e dei risultati della gestione». Di conseguenz­a, appare evidente che quanto previsto dalla legge n. 124/2015 determiner­à concretame­nte solo l’estensione a tutte le amministra­zioni pubbliche delle regole in vigore per gli enti locali. Anche se non si può mancare di sottolinea­re il rilievo che comunque assume la nuova disposizio­ne in termini di annuncio e, di conseguenz­a, l’inevitabil­e rafforzame­nto delle disposizio­ni già esistenti che sostanzial­mente limitano la maturazion­e della responsabi­lità contabile degli amministra­tori ai soli casi in cui essi hanno dato con dolo o colpa grave l’input a decisioni illegittim­e da cui sono scaturiti danni erariali. Dal decreto attuativo della legge n. 124/2014 ci si deve attendere la riscrittur­a delle disposizio­ni sulla maturazion­e di responsabi­lità dirigenzia­le, cioè di risultato, nel caso di scelte illegittim­e e che apportano un danno all’ente.

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