Dipendente demansionato, risponde solo il dirigente
pLa responsabilità erariale determinata dal risarcimento dei danni determinati dal demansionamento di un dipendente matura solo in capo al dirigente responsabile e gli amministratori non sono responsabili, neppure per i maggiori oneri causati dalla proposizione dell’appello. Sono questi i principi affermati dalla sentenza 139/2015 della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Veneto. Il suo contenuto sembra “anticipare” l’attuazione del principio affermato dalla legge Madia, la n. 124/2015, che rimette al decreto delegato sulla dirigenza pubblica – da adottare entro il prossimo mese di agosto- la «ridefinizione del rapporto tra responsabilità dirigenziale e responsabilità amministrativo-contabile, con particolare riferimento alla esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità per l’attività gestionale». Ma dà attuazione a quanto previsto per gli enti locali dal testo unico delle leggi sull’ordinamento locale.
Nel caso oggetto della sentenza, una dipendente a tempo indeterminato utilizzata nell’ufficio di staff di un sindaco, a seguito dell’ insediamento di una nuova amministrazione, era stata progressivamente “esautorata”, non le erano stati assegnati incarichi corrispondenti e anzi era stata costretta «per un lungo periodo alla quasi totale inoperosità ». Elementi accertati da una sentenza del giudice del lavoro, che ha condannatoil Comune a un elevato risarcimento del danno conseguente al demansionamento. Di questo danno è stato ritenuto responsabile esclusivamente il segretario comunale, che svolgeva anche il compito di dirigente del settore personale.
La sentenza stabilisce con molta nettezza due principi. In primo luogo, la condanna inflitta dal giudice del lavoro determina la maturazione di responsabilità amministrativa.
In secondo luogo, la condotta del segretario-responsabile del personale «è connotata da colpa grave, in considerazione dell’apicalità e molteplicità dei ruoli rivestiti che avrebbero consentito un’ immediata ed efficace soluzione della situazione insorta con la dipendente, nonché in considerazione del lungo protrarsi nel tempo dei comportamenti inadeguati».
La sentenza assolve inoltre gli amministratori dall’imputazione di aver determinato ulteriori danni con la proposizione dell’appello, in quanto questa scelta era basata su una «ragionevole motivazione», costituita dal fatto che la proposta di delibera era corredata dal parere tecnico favorevole.
Questa sentenza è basata sui principi affermati dalla legislazione vigente: basta fare riferimento alle previsioni contenute nell’articolo 107, comma 6, del Dlgs 267/2000, secondo il quale «i dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell’ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione». Di conseguenza, appare evidente che quanto previsto dalla legge n. 124/2015 determinerà concretamente solo l’estensione a tutte le amministrazioni pubbliche delle regole in vigore per gli enti locali. Anche se non si può mancare di sottolineare il rilievo che comunque assume la nuova disposizione in termini di annuncio e, di conseguenza, l’inevitabile rafforzamento delle disposizioni già esistenti che sostanzialmente limitano la maturazione della responsabilità contabile degli amministratori ai soli casi in cui essi hanno dato con dolo o colpa grave l’input a decisioni illegittime da cui sono scaturiti danni erariali. Dal decreto attuativo della legge n. 124/2014 ci si deve attendere la riscrittura delle disposizioni sulla maturazione di responsabilità dirigenziale, cioè di risultato, nel caso di scelte illegittime e che apportano un danno all’ente.