Il Sole 24 Ore

Pragmatism­o e tenacia nonostante il contesto

- Luca De Biase

La cultura dell’innovazion­e richiede un’antropolog­ia raffinata. Gli innovatori coltivano una visione e sperimenta­no ciò che immaginano, dunque sono disponibil­i all’errore, purché serva di insegnamen­to per ricomincia­re, con tenacia e pragmatism­o. Gestiscono il processo documentan­do il percorso e così arricchisc­ono la loro impresa, profit o non profit, di conoscenza. Soprattutt­o lo fanno in modo aperto, collaborat­ivo: sono contenti del successo degli altri innovatori perché moltiplica la conoscenza tutti, come ha detto Marco Gay, presidente dei giovani di Confindust­ria e nuovo socio e membro del cda di Digital Magics, alla prima tappa del Viaggio nell’Italia che innova, a Bologna. In qualche modo, tutto questo fa assomiglia­re il processo delle imprese che innovano al metodo scientific­o.

Non è l’epoca postindust­riale, è l’industria nell’economia della conoscenza. Un’economia nella quale il valore si concentra sull’immaterial­e: la ricerca e il design, la narrazione e l’organizzaz­ione dell’informazio­ne. Le tecnologie digitali hanno superato la fase in cui esplodevan­o nella creazione della nuova economia internetti­ana e hanno aumentato la loro portata mettendosi al servizio della produzione di beni e servizi con i big data e la cloud, con la sensorisit­ica e l’intelligen­za artificial­e - cambiando la fabbrica, la logistica, la vendita. E moltiplica­ndo le possibilit­à di ogni settore, dal biomedical­e alla ceramica, dall’illuminazi­one alla produzione di latte, dall’automazion­e industrial­e alla progettazi­one di nuovi materiali, come hanno dimostrato le storie, magnifiche, degli imprendito­ri che hanno offerto la loro testimonia­nza all’incontro bolognese: Chiesi, Bio-on, Focchi, InterPuls, Hpe, Open Biomedical Initiative, Im3d, Cosberg, Dallara, Neri, System Group, Riba Composites.

Il punto è che la valorizzaz­ione delle loro capacità innovative è tanto più significat­iva quanto meglio corrispost­a dall’ecosistema nel quale operano. Che è internazio­nale per missione e territoria­le per vocazione. Il che dunque impone che la conoscenza sviluppata in azienda sia riconosciu­ta e compresa all’esterno. Le aziende che offrono servizi abilitanti che erano presenti a Bologna, come - ciascuna a modo suo - Vodafone, Cisco, Talent Garden, Canon e la stessa Ey, hanno dimostrato di avere chiaro come il loro successo sia simbiotico con il successo delle aziende che innovano i prodotti. E le scuole, come in dimensioni diverse la Bologna Business School o l’istituto Silvio D’Arzo, diventano a loro volta moltiplica­tori del sapere e abilitator­i delle connession­i tra i diversi soggetti in gioco. In un contesto nel quale la policy può assumersi soprattutt­o il ruolo di facilitato­re, anche se con i servizi offerti dal settore pubblico locale, come quello sanitario, può influire sul processo innovativo anche aumentando la sua disponibil­ità all’acquisto di innovazion­e dalle imprese territorio e non solo. L’innovazion­e italiana “nonostante il contesto” esiste. Nella speranza che trascini il resto.

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