La riforma della Chiesa e le virtù del cristiano
Papa Francesco e la Curia di Roma
Dopo la pars destruens, la pars construens. Il discorso che il Papa ha tenuto ieri alla curia romana,in occasione dei tradizionali auguri natalizi, all’opposto di quello pronunciato il 22 dicembre dello scorso anno, non ha avuto i toni drammatici dell’invettiva contro i mali della Chiesa, ma il respiro ampio delle risposte.
Avevamo capito bene. Che quello dello scorso anno fosse un catalogo dei mali e che quei mali il papa li vedesse soprattutto nella Curia romana lo ha confermato lui stesso, citando quel suo discorso proprio come «catalogo dei mali della Curia», al quale quest’anno fa succedere l’elenco dei rimedi. L’antidoto, ha ricordato il papa, per «malattie che richiedono prevenzione, vigilanza, cura e, purtroppo, in alcuni casi, interventi dolorosi e prolungati». Aggiungendo come «alcune di tali malattie si sono manifestate nel corso di questo anno, causando non poco dolore a tutto il corpo e ferendo tante anime, anche con lo scandalo». E ha concluso il riferimento dicendo: «sembra doveroso affermare che ciò è stato – e lo sarà sempre – oggetto di sincera riflessione e decisivi provvedimenti. La riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza, perché Ecclesia semper reformanda». Dunque quei mali ci sono. Sono mali spirituali che provengono da un processo di mondanizzazione e che hanno infettato il corpo della Chiesa. E la riforma, che deve investire ogni ambito della vita della chiesa, deve procedere.
Tradizionalmente gli interventi dei papi in questa occasione sono rilevanti, al punto da segnalare spesso la rotta del pontificato. Si parla alla struttura interna della Chiesa che è a più stretto contatto col papa. Il suo quartier generale. Benedetto XVI, ad esempio, utilizzò il suo primo discorso alla curia nel 2005 per ripensare l’ermeneutica del Concilio Vaticano II sotto il segno della continuità e segnalare il suo atteggiamento cauto nei confronti del tema della riforma della Chiesa.
Per Francesco la riforma è prioritaria e va affrontata in termini radicali, sia sul piano delle strutture, sia sul piano delle virtù morali e spirituali. Lo scorso anno, ad appena due anni dall’inizio del suo pontificato, Francesco, con parole dirompenti, misurava tutta la distanza di una parte della curia da sé e dal suo modello di Chiesa. Il segnale era chiaro: quella distanza andava colmata in fretta. Tra le 15 piaghe indicate dal papa spiccano soprattutto quelle del potere, del narcisismo, della ricchezza e della maldicenza. Durante il 2015, papa Francesco è tornato ancora, insistentemente, su quei temi, anche se con minor veemenza. Essi, nella sua visione ecclesiale, si configurano come una radicale perdita di Dio nella propria vita e un tradimento della propria missione. Quel catalogo era proposto dal papa sulla scorta di quanto i padri del deserto del IV secolo stigmatizzarono di fronte alla crisi spirituale del cristianesimo e della Chiesa del loro tempo, dopo la pax costantiniana. Bisogna tornare all’essenziale. che significa fare i conti con la consapevolezza che abbiamo di noi stessi, di Dio, del prossimo, del sensus Ecclesiae e del sensus fidei.
Francesco riconosce anche il bene, la competenza, la dedizione e le altre virtù che pure sono presenti nella Chiesa (curia compresa) e guarda all’Anno santo proprio come a una grande occasione di gratitudine, di conversione, di rinnovamento, di penitenza e di riconciliazione.
Ai 15 mali stigmatizzati lo scorso anno, papa Francesco risponde quest’anno con un catalogo di 24 virtù necessarie, indicate a due a due. Quasi a compensarsi e completarsi l’un l’altra. Per evitare eccessi. Per indicare come non vi siano virtù assolute, poiché ogni virtù si misura ed è misurata dalla condizione storico-esistenziale. Esse configurano uno stile ecclesiale con cui vivere la fede cristiana e sono poste dal papa su un duplice orizzonte: teologico e antropologico. Per questo sono rivolte a tutti. Il papa lo fa ricorrendo talora a un qualche neologismo. E ci scherza persino sopra.
Il catalogo è questo: missionarietà e pastoralità, per dire l’efficacia e l’efficienza che sono governate dalla serena fiducia nel seguire il Buon Pastore, Gesù Cristo. Idoneità e sagacia, che significano competenza e saggezza. Spiritualità e umanità. L’umanità è ciò che incarna la fede e Dio risplende nelle coscienze, non in astratto. Esemplarità e fedeltà, guai agli scandali che minano la testimonianza cristiana, di ce il papa, è necessaria una fedeltà che ha la stessa misura essenziale nelle piccole come nelle grandi cose. Razionalità e amabilità, per evitare ogni squilibrio o eccesso. Innocuità e determinazione, che è come dire che occorre una visione chiara, prudente, ma al dunque risoluta per interagire nella realtà. Verità e carità, esse tracciano una dimensione indissolubile e sono assieme quanto di più postideologico si possa pensare. Onestà e maturità, esse fondano l’armonia della persona lungo tutta la vita. Rispettosità e umiltà, si tratta di virtù che segnalano nelle persone la grazia e la pienezza di Dio. Doviziosità e attenzione, equivalgono alla grandezza del sapere donare agli altri secondo il loro diverso bisogno, materiale o spirituale che sia. Impavidità e prontezza, cioè il procedere senza paura e senza attaccamento alle cose, per non essere ricattati o dominati da esse. Infine l'affidabilità e la sobrietà indicano, dice il papa, «il primato dell'altro come principio gerarchico ed esprime l'esistenza come premura e servizio verso gli altri».