Quanto costa lo spread dell’instabilità politica
Nell’anno in cui avanza con la crescita più forte tra i principali quattro Paesi dell’Eurozona (il Pil iberico avanza al ritmo del 3,4% a fronte del +1,8% tedesco, del +1,2% francese e del +0,8% italiano) la Spagna risulterà però il Paese più “venduto” dagli investitori, nonostante rientri sotto la protezione della Banca centrale europea e del quantitative easing annesso.
A marzo il rendimento dei Bonos a 10 anni si attestava all’1,09% mentre ieri ha chiuso le contrattazioni all’1,8%, in rialzo di 8 punti base rispetto alla giornata precedente, di 71 punti rispetto ai minimi dell’anno e ormai più “caro” di 21 punti se confrontato al corrispondente BTp italiano (1,59%). Sembrano ormai lontani anni i luce i tempi in cui lo spread tra Italia e Spagna aveva raggiunto la soglia dei 40 punti. Oggi invece, come detto, siamo a quota -21, ovvero Madrid è considerata più rischiosa dagli investitori, meno appetibile. La differenza è ancora più marcato se si analizza il costo reale del debito. In Spagna sale al 2,1% (perché bisogna aggiungere un tasso di deflazione dello 0,3%) mentre in Italia scende all’1,49% (perché bisogna sottrarre un tasso di inflazione dello 0,1%).
Dinamica simile sul mercato azionario. Mentre Piazza Affari si avvia a chiudere - nonostante le varie turbolenze che hanno interessato a partire da agosto le Borse globali - l’anno con un guadagno a doppia cifra (+11%, unica in Europa) la Borsa di Madrid è al momento in rosso: -9%, a cui ha contribuito il -3,6% accusato ieri, all’indomani delle elezioni politiche che hanno decretato la sconfitta del Partito popolare (scivolato dal 44,6% del 2011 al 28,7% dei consensi), l’arretramento dei socialisti (dal 28,8% al 22%) e l’avanzata del movimento anti-austerity Podemos (terza forza al 20,6%). Il premier uscente Mariano Rajoy difficilmente riuscirà a diventare premier entrante perché i secondi e terzi classificati hanno già comunicato che non lo appoggeranno nel tentativo di formare un nuovo governo. E così gli investitori si sono allontanati ancor di più ieri da un Paese che a questo punto paga tecnicamente il pegno dell’instabilità politica. Un particolare tipo di spread che l’Italia conosce bene dato che prima dell’arrivo di Renzi al governo - 22 febbraio 2014 - ne è passata di incertezza sotto i ponti (basti ricordare la parentesi tecnica MontiFornero, il successivo periodo Letta, spodestato poi dallo stesso Renzi al termine di un passaggio politico e non elettorale). È in questo periodo turbolento che l’Italia pagava più della Spagna e adesso, la patata bollente dell’instabilità di governo, è passata a Madrid dato che per la prima volta dal 1982 il Parlamento si trova senza una maggioranza chiara.
È il segnale inequivocabile che i mercati finanziari non sono poi così complicati come spesso si tende a credere. Gli investitori prima di mettere un gettone su qualcosa vogliono vederci chiaro. E quando ci sono nubi all’orizzonte preferiscono altri lidi, nell’attesa che le nubi passino. È successo anche ai mercati azionari quando la Fed la settimana scorsa ha finalmente recuperato credibilità in politica monetaria alzando i tassi di interesse dopo mesi di tira e molla. Il risultato è che le Borse sono salite. Da ieri invece il cielo di Madrid è più nuvoloso e c’è già chi parla di nuove elezioni. Resta da chiedersi quale sarebbe stata la reazione degli investitori se non ci fosse stato lo scudo della Bce. Un piccolo assaggio lo potremo avere da oggi e fino al termine del mese quando l’istituto guidato di Draghi interromperà per una decina di giorni gli acquisti di titoli nell’ambito del piano di quantitative easing. Ma difficilmente gli investitori prenderanno forti posizioni, considerato che non amano mai mettersi contro la potenza di fuoco di una banca centrale che, in ogni caso, tornerà a comprare Bonos a gennaio. In un mercato, quello dei governativi area euro, che resterà artificiale almeno fino a marzo 2017. Questa droga a Madrid ora fa proprio comodo.