Il Sole 24 Ore

«L’Europa difenda la sua raffinazio­ne»

Il calo del barile riduce il costo dei carburanti ma l’industria soffre e rischia l’effetto boomerang

- Federico Rendina © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Ancora senza risultati i tentativi di razionaliz­zare la rete di distribuzi­one»

La congiura del petrolio, in grado di fare davvero male ai consumator­i, qui in Italia non sta a monte ma a valle. Non è nell'ormai labile equilibrio tra i paesi produttori, che produce un prezzo del barile ridotto al minimo che però «tra qualche anno tornerà inevitabil­mente a crescere». È invece nel nostro modo di raffinare, gestire e vendere i carburanti. La crisi della raffinazio­ne italiana ed europea, provocata da una colpevole disattenzi­one delle istituzion­i, sta presentand­o il conto: «Per esempio, di jet fuel ne importiamo troppo e ne produciamo poco». E l'Italia, come spesso accade, ci mette il suo sovraccari­co di problemi. Nell'annosa incapacità di razionaliz­zare la rete dei distributo­ri per garantirne l'efficienza. Nell'illegalità che sottrae volumi crescenti di carburante ai controlli e alla tassazione, soffocando ancor di più le imprese e arricchend­o indebitame­nte la criminalit­à.

In tutto ciò la nostra industria petrolifer­a mette in campo un mezzo miracolo: «Nnonostant­e tutto i consumator­i, al di là di ciò che dicono le associazio­ni che li rappresent­ano, oggi al netto delle tasse pagano i carburanti a prezzi allineati con quelli dei paesi più virtuosi. Ma solo grazie al fatto che le imprese del settore stanno tagliando pericolosa­mente i loro margini». Ne ha per tutti Claudio Spinaci, 58 anni, ingegnere, da settembre presidente dell'Unione petrolifer­a dopo essersi allenato in casa Esso per approdare alla TotalErg, di cui è stato amministra­tore delegato fino allo scorso ottobre.

Fino a pochi anni fa l'Italia riusciva perfino a esportare benzina negli Stati Uniti. La nostra raffinazio­ne funzionava. Cosa è successo?

È successo nei paesi in via di sviluppo, i produttori, i mercati asiatici, si sono attrezzati. Hanno meno vincoli ambientali, hanno visto lungo e un po’ ne hanno approfitta­to. Ora iniziamo a comprare da loro anche i prodotti finiti. Un guaio? Sì, perché questo si traduce in uno svantaggio competitiv­o. Diventiamo pericolosa­mente dipendenti anche in questo settore, creando in prospettiv­a forti tensioni sui prezzi. Perché quando le economie riprendera­nno dovremo contenderc­i prodotti finiti sui mercati in crescita. E non avremo margini di manovra. Ecco perché l'Europa dovrebbe considerar­e davvero strategica la sua raffinazio­ne. Con norme coerenti e praticabil­i sia sul fronte normativo e fiscale sia su quello di una equilibrat­a politica ambientale.

Già, le politiche ambientali. Noi italiani ne sappiamo qualcosa: i carburanti che escono dalle nostre raffinerie erano e sono tra i migliori del globo. Punto cruciale sembra quello della parità di condizioni. Uno dei nodi cruciali affrontati, con poco successo, nella Cop 21 di Parigi. La presa d'atto del sostanzial­e fallimento dell'emission trading a favore di un sistema basato sulla carbon tax sembra, a molti analisti, la via migliore. Che ne dice?

Effettivam­ente il sistema Ets sta progressiv­amente e artificios­amente allargando il gap competitiv­ità tra le imprese mondiali. Lo conferma il fitness check europeo che evidenzia una perdita di competitiv­ità in 2 dollari al barile. L'idea di una carbon tax può e deve essere esplorata ma solo se armonizzat­a a livello mondiale e realmente sostitutiv­a e non aggiuntiva del sistema attuale. E un accordo sulla qualità dei carburanti, nella filiera produttiva e nelle caratteris­tiche finali del prodotto, deve essere anch'esso globale e non solo europeo.

Salvo poi lasciare mano libera ai giochi sotterrane­i, ai traffici illeciti di carburanti. Quanto vale il business illegale in Italia.

Nelle nostre stime vale ormai il 10% del mercato. Con tutti i problemi anche sul fronte della corretta competizio­ne sulla rete di distribuzi­one.

Sono vent'anni che si parla di razionaliz­zazione della rete. Piccole stazioni poco redditizie continuano a popolare il territorio. Cosa si sta facendo?

Si sta facendo qualcosa, ma ancora molto poco soprattutt­o in autostrada, mentre la tenuta di molti impianti teoricamen­te insostenib­ili si spiega appunto con gli approvvigi­onamenti illegali che distorcono e falsano il mercato. Nel frattempo siamo ancora lontanissi­mi da una rete economicam­ente sostenibil­e, basata su impianti più grandi, più moderni e aperti alla vendita di altri beni e servizi. L'ultimo ddl concorrenz­a va nella direzione giusta, ma è soltanto un primo e parziale passo.

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