«L’Europa difenda la sua raffinazione»
Il calo del barile riduce il costo dei carburanti ma l’industria soffre e rischia l’effetto boomerang
«Ancora senza risultati i tentativi di razionalizzare la rete di distribuzione»
La congiura del petrolio, in grado di fare davvero male ai consumatori, qui in Italia non sta a monte ma a valle. Non è nell'ormai labile equilibrio tra i paesi produttori, che produce un prezzo del barile ridotto al minimo che però «tra qualche anno tornerà inevitabilmente a crescere». È invece nel nostro modo di raffinare, gestire e vendere i carburanti. La crisi della raffinazione italiana ed europea, provocata da una colpevole disattenzione delle istituzioni, sta presentando il conto: «Per esempio, di jet fuel ne importiamo troppo e ne produciamo poco». E l'Italia, come spesso accade, ci mette il suo sovraccarico di problemi. Nell'annosa incapacità di razionalizzare la rete dei distributori per garantirne l'efficienza. Nell'illegalità che sottrae volumi crescenti di carburante ai controlli e alla tassazione, soffocando ancor di più le imprese e arricchendo indebitamente la criminalità.
In tutto ciò la nostra industria petrolifera mette in campo un mezzo miracolo: «Nnonostante tutto i consumatori, al di là di ciò che dicono le associazioni che li rappresentano, oggi al netto delle tasse pagano i carburanti a prezzi allineati con quelli dei paesi più virtuosi. Ma solo grazie al fatto che le imprese del settore stanno tagliando pericolosamente i loro margini». Ne ha per tutti Claudio Spinaci, 58 anni, ingegnere, da settembre presidente dell'Unione petrolifera dopo essersi allenato in casa Esso per approdare alla TotalErg, di cui è stato amministratore delegato fino allo scorso ottobre.
Fino a pochi anni fa l'Italia riusciva perfino a esportare benzina negli Stati Uniti. La nostra raffinazione funzionava. Cosa è successo?
È successo nei paesi in via di sviluppo, i produttori, i mercati asiatici, si sono attrezzati. Hanno meno vincoli ambientali, hanno visto lungo e un po’ ne hanno approfittato. Ora iniziamo a comprare da loro anche i prodotti finiti. Un guaio? Sì, perché questo si traduce in uno svantaggio competitivo. Diventiamo pericolosamente dipendenti anche in questo settore, creando in prospettiva forti tensioni sui prezzi. Perché quando le economie riprenderanno dovremo contenderci prodotti finiti sui mercati in crescita. E non avremo margini di manovra. Ecco perché l'Europa dovrebbe considerare davvero strategica la sua raffinazione. Con norme coerenti e praticabili sia sul fronte normativo e fiscale sia su quello di una equilibrata politica ambientale.
Già, le politiche ambientali. Noi italiani ne sappiamo qualcosa: i carburanti che escono dalle nostre raffinerie erano e sono tra i migliori del globo. Punto cruciale sembra quello della parità di condizioni. Uno dei nodi cruciali affrontati, con poco successo, nella Cop 21 di Parigi. La presa d'atto del sostanziale fallimento dell'emission trading a favore di un sistema basato sulla carbon tax sembra, a molti analisti, la via migliore. Che ne dice?
Effettivamente il sistema Ets sta progressivamente e artificiosamente allargando il gap competitività tra le imprese mondiali. Lo conferma il fitness check europeo che evidenzia una perdita di competitività in 2 dollari al barile. L'idea di una carbon tax può e deve essere esplorata ma solo se armonizzata a livello mondiale e realmente sostitutiva e non aggiuntiva del sistema attuale. E un accordo sulla qualità dei carburanti, nella filiera produttiva e nelle caratteristiche finali del prodotto, deve essere anch'esso globale e non solo europeo.
Salvo poi lasciare mano libera ai giochi sotterranei, ai traffici illeciti di carburanti. Quanto vale il business illegale in Italia.
Nelle nostre stime vale ormai il 10% del mercato. Con tutti i problemi anche sul fronte della corretta competizione sulla rete di distribuzione.
Sono vent'anni che si parla di razionalizzazione della rete. Piccole stazioni poco redditizie continuano a popolare il territorio. Cosa si sta facendo?
Si sta facendo qualcosa, ma ancora molto poco soprattutto in autostrada, mentre la tenuta di molti impianti teoricamente insostenibili si spiega appunto con gli approvvigionamenti illegali che distorcono e falsano il mercato. Nel frattempo siamo ancora lontanissimi da una rete economicamente sostenibile, basata su impianti più grandi, più moderni e aperti alla vendita di altri beni e servizi. L'ultimo ddl concorrenza va nella direzione giusta, ma è soltanto un primo e parziale passo.