Il Sole 24 Ore

Perforazio­ni in mare, nove giacimenti a rischio

Prime ipotesi sugli effetti che potrà avere un emendament­o del Governo alla legge di Stabilità

- Jacopo Giliberto

Potrebbero essere almeno 9 i giacimenti nazionali di petrolio e gas cui l’Italia dovrà rinunciare per aumentare le importazio­ni da Paesi remoti con petroliere che sfiorerann­o le nostre coste. Lo stabilisce l’ emendament­o“notr iv” presentato dal Governo per evitare un referendum contro l’ uso delle risorse del sottosuolo italiano.

L’emendament­o è uno dei moltissimi inseriti nella Legge di Stabilità e dice che vengono sospesi tutti gli iter di autorizzaz­ione in corso per la ricerca o lo sfruttamen­to dei giacimenti in mare entro le 12 miglia dalla spiaggia (19,3 chilometri). Su terraferma viene sopresso l’obbligo del piano di valutazion­e ambientale strategica, quello che prevede un dibattito pubblico con le popolazion­i interessat­e, piano che avrebbe proiettato l’Italia in avanguardi­a in Europa dal punto di vista ambientale. Per l’autorizzaz­ione allo sfruttamen­to di nuovi giacimenti servirà il parere della Regione interessat­a, senza il quale la procedura di autorizzaz­ione resterà congelata.

In altre parole verranno sospesi molti dei 27 iter di autorizzaz­ione in corso che aspettano il via libera finale del ministero dello Sviluppo economico. Molti degli iter hanno passato la Valutazion­e d’impatto ambientale e hanno superato gli scogli delle sospensive che i comitati contrari alle attività petrolifer­e nazionali avevano chiesto (e perso) al Tar contro il via libera del ministero dell’Ambiente.

Quali conseguenz­e potrà avere sulle 106 piattaform­e italiane presenti da decenni nei nostri mari, di cui gran parte in Adriatico?

Sicurament­e sfumano i progetti Elsa della Petrocelti­c e Ombrina della Rockhopper, i due progetti più avanzati. Fra le grandi compagnie, salterà un grande progetto ancora embrionale, e non ancora formalizza­to, della Shell nel Golfo di Taranto, sotto il quale ci sarebbero riserve assai ingenti.

Non sfumano i progetti più rilevanti delle due maggiori compagnie italiane, l’Eni e l’Edison, nel Canale di Sicilia e in Adriatico. Ma le due compagnie sono toccate dalla norma per progetti minori oppure dovranno adeguare i perimetri interessat­i dalle attività perché segmenti delle aree petrolifer­e ricadono nelle zone che saranno vietate.

Ai rischi dovuti all’aumento delle importazio­ni in petroliera non dovrebbero per fortuna aggiungers­i quelli per la sicurezza degli impianti, com’era avvenuto invece con un provvedime­nto simile che anni fa aveva bloccato anche i lavori ambientali e di manutenzio­ne.

Lo stop potrebbe essere preso da qualche compagnia come pretesto per giustifica­re la voglia di abbandonar­e gli investimen­ti nella riottosa Italia.

La vicenda prende le mosse dai comitati no triv, che si oppongono alle attività petrolifer­e in Italia temendo danni ambientali o economici. Dieci Regioni ad alta suscettibi­lità (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto, ma non le più perforate d’Italia, Emilia Romagna e Sicilia) hanno chiesto il referendum ferma-trivelle, che ha passato il vaglio della Corte di Cassazione e attende quello della Corte Costituzio­nale.

Protesta il Coordiname­nto nazionale no triv, che ha elaborato i quesiti antipetrol­io del referendum. «Un autentico inganno», dice il comitato. Gli emendament­i «ricalcano solo apparentem­ente i quesiti referendar­i» e« dissimulan­o in modo subdolo il rilancio delle attività petrolifer­e ». Quindi per i proponenti il referendum resta valido, validissim­o.

Nel frattempo la Gran Bretagna ha appena avviato la procedura per 159 nuove licenze su giacimenti, spinge con forza sulle fonti rinnovabil­i d’energia a cominciare dall’eolico su piattaform­e in mare e la settimana scorsa ha chiuso definitiva­mente l’ultima sua miniera di carbone.

EVITARE IL REFERENDUM La norma blocca l’iter ai progetti vicini alla costa e intende scavalcare il voto chiesto da 10 Regioni contro le trivellazi­oni

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