Perforazioni in mare, nove giacimenti a rischio
Prime ipotesi sugli effetti che potrà avere un emendamento del Governo alla legge di Stabilità
Potrebbero essere almeno 9 i giacimenti nazionali di petrolio e gas cui l’Italia dovrà rinunciare per aumentare le importazioni da Paesi remoti con petroliere che sfioreranno le nostre coste. Lo stabilisce l’ emendamento“notr iv” presentato dal Governo per evitare un referendum contro l’ uso delle risorse del sottosuolo italiano.
L’emendamento è uno dei moltissimi inseriti nella Legge di Stabilità e dice che vengono sospesi tutti gli iter di autorizzazione in corso per la ricerca o lo sfruttamento dei giacimenti in mare entro le 12 miglia dalla spiaggia (19,3 chilometri). Su terraferma viene sopresso l’obbligo del piano di valutazione ambientale strategica, quello che prevede un dibattito pubblico con le popolazioni interessate, piano che avrebbe proiettato l’Italia in avanguardia in Europa dal punto di vista ambientale. Per l’autorizzazione allo sfruttamento di nuovi giacimenti servirà il parere della Regione interessata, senza il quale la procedura di autorizzazione resterà congelata.
In altre parole verranno sospesi molti dei 27 iter di autorizzazione in corso che aspettano il via libera finale del ministero dello Sviluppo economico. Molti degli iter hanno passato la Valutazione d’impatto ambientale e hanno superato gli scogli delle sospensive che i comitati contrari alle attività petrolifere nazionali avevano chiesto (e perso) al Tar contro il via libera del ministero dell’Ambiente.
Quali conseguenze potrà avere sulle 106 piattaforme italiane presenti da decenni nei nostri mari, di cui gran parte in Adriatico?
Sicuramente sfumano i progetti Elsa della Petroceltic e Ombrina della Rockhopper, i due progetti più avanzati. Fra le grandi compagnie, salterà un grande progetto ancora embrionale, e non ancora formalizzato, della Shell nel Golfo di Taranto, sotto il quale ci sarebbero riserve assai ingenti.
Non sfumano i progetti più rilevanti delle due maggiori compagnie italiane, l’Eni e l’Edison, nel Canale di Sicilia e in Adriatico. Ma le due compagnie sono toccate dalla norma per progetti minori oppure dovranno adeguare i perimetri interessati dalle attività perché segmenti delle aree petrolifere ricadono nelle zone che saranno vietate.
Ai rischi dovuti all’aumento delle importazioni in petroliera non dovrebbero per fortuna aggiungersi quelli per la sicurezza degli impianti, com’era avvenuto invece con un provvedimento simile che anni fa aveva bloccato anche i lavori ambientali e di manutenzione.
Lo stop potrebbe essere preso da qualche compagnia come pretesto per giustificare la voglia di abbandonare gli investimenti nella riottosa Italia.
La vicenda prende le mosse dai comitati no triv, che si oppongono alle attività petrolifere in Italia temendo danni ambientali o economici. Dieci Regioni ad alta suscettibilità (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto, ma non le più perforate d’Italia, Emilia Romagna e Sicilia) hanno chiesto il referendum ferma-trivelle, che ha passato il vaglio della Corte di Cassazione e attende quello della Corte Costituzionale.
Protesta il Coordinamento nazionale no triv, che ha elaborato i quesiti antipetrolio del referendum. «Un autentico inganno», dice il comitato. Gli emendamenti «ricalcano solo apparentemente i quesiti referendari» e« dissimulano in modo subdolo il rilancio delle attività petrolifere ». Quindi per i proponenti il referendum resta valido, validissimo.
Nel frattempo la Gran Bretagna ha appena avviato la procedura per 159 nuove licenze su giacimenti, spinge con forza sulle fonti rinnovabili d’energia a cominciare dall’eolico su piattaforme in mare e la settimana scorsa ha chiuso definitivamente l’ultima sua miniera di carbone.
EVITARE IL REFERENDUM La norma blocca l’iter ai progetti vicini alla costa e intende scavalcare il voto chiesto da 10 Regioni contro le trivellazioni