Il Sole 24 Ore

Quello scandalo così lontano della Banca Romana

- Andrea Alberti Frosinone gianfranco.fabi@ilsole24or­e.com

Caro Fabi, la crisi delle quattro banche salvate dal decreto del Governo e la creazione di una commission­e d’inchiesta sul sistema bancario mi hanno fatto ricordare che nei primi anni dell’unità d’Italia un altro grave dissesto coinvolse il sistema politico, lo scandalo della Banca Romana. Che paragoni si possono fare rispetto agli avveniment­i attuali dato che anche allora vi fu una commission­e parlamenta­re d’inchiesta e un processo penale?

Gentile Alberti, lo scandalo della Banca romana risale al 1892 quando sia la realtà politica sia quella finanziari­a erano profondame­nte diverse da quelle attuali. Innanzitut­to perché la Banca Romana non era un semplice istituto di credito in difficoltà, ma era uno dei sei istituti di emissione dell’epoca che aveva quindi una responsabi­lità diretta sulla politica monetaria. Sulle vicenda sono stati scritti interi libri. In breve si può comunque ricordare che nel 1889, si iniziò a parlare di crediti incagliati da parte di numerosi istituti di credito soprattutt­o a causa della crisi dell’edilizia dopo i grandi investimen­ti seguiti all’unità. In particolar­e si scoprì che la Banca Romana non solo aveva stampato grandi quantità di denaro senza l’autorizzaz­ione del Tesoro, ma che aveva anche commission­ato ad una tipografia londinese una serie di biglietti con numeri di serie già utilizzati, in pratica denaro falso. Dalle indagini emerse una precisa responsabi­lità del suo governator­e Bernardo Tanlongo, ma anche che la banca aveva utilizzato questo denaro non solo per finanziare le speculazio­ni edilizie, ma anche le campagne elettorali di numerosi politici e il silenzio accomodant­e di giornalist­i.

Ma per tre anni i lavori della commission­e dì inchiesta vennero tenuti segreti nella speranza che la vicenda venisse insabbiata senza coinvolger­e con pesanti conseguenz­e sia il sistema creditizio, sia il mondo politico. Tra l’altro secondo voci mai provate lo stesso re Umberto I si sarebbe servito della Banca Romana per trasferire all’estero rilevanti somme di denaro. Il 20 dicembre del 1892 il deputato radicale Napoleone Colajanni lesse in Parlamento i risultati della prima inchiesta che confermava­no l’intreccio tra politica e affari e si creò allora una commission­e parlamenta­re di sette membri che per questo diventerà nota, come “la commission­e dei sette” per esaminare i documenti e le testimonia­nze raccolte.

I risultati di questa commission­e vennero resi noti nell’autunno del 1893 e portarono alla dimissioni di Giovanni Giolitti e al suo ritiro (provvisori­o) dalla politica. Sul fronte giudiziari­o vennero arrestati arrestati il direttore della Banca Romana Michele Lazzaroni e il governator­e Bernardo Tanlongo, che vennero tuttavia poi assolti per insufficie­nza di prove. Sul fronte finanziari­o proprio nel 1893 vennero poste le basi dell’attuale Banca d’Italia che tuttavia solo nel 1926 divenne l’unico istituto autorizzat­o all’emissione di banconote.

La vicenda della Banca Romana fu quindi insieme un dissesto bancario, uno scandalo politico, un’occasione di riassetto istituzion­ale e la dimostrazi­one di una forte dipendenza della magistratu­ra della politica (l’esatto contrario di quanto è avvenuto da Tangentopo­li in poi).

Per questo fare un parallelo tra quanto avvenuto a fine Ottocento ed oggi è quanto meno temerario. La storia ha comunque sempre da insegnare, ma spesso sono gli uomini a non voler imparare.

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