Il Sole 24 Ore

Console e pc nel mirino per investire nei videogame

Mercato a quota 900 milioni - Cresce il pubblico gamer

- Alessio Lana

893 In milioni, il valore del mercato dei videogioch­i in Italia

Un mercato da un 893 milioni di euro in cui c’è ancora tanto spazio per le nuove realtà. Questo il numero dei videogioch­i in Italia.

p Un mercato da un 893 milioni di euro in cui c’è ancora tanto spazio per le nuove realtà. Così l’associazio­ne di categoria Aesvi fotografa la situazione italiana sui videogioch­i, un settore in cui gli italiani eccellono come acquirenti (29,3 milioni di giocatori) ma ancora sono indietro a livello di produzione. A parte due studi di sviluppo nati negli anni ’90 come Milestone e Ubisoft Milan, branca italiana di uno dei colossi internazio­nali del settore, il panorama italico è composto da una costellazi­one di piccole aziende nate pochi anni fa. È solo dal 2010 che il nostro Paese ha iniziato a dare vita a realtà guardate con interesse anche nel mondo. Del centinaio di sviluppato­ri attuali, il 46% sono nati nel 2011, il 27% ha 5 anni e solo uno su cinque ha più di otto anni. A livello geografico, il 30% ha trovato casa in Lombardia (ovvero a Milano e dintorni), il 12% in Piemonte e il 10% nel Lazio mentre Campania e Sicilia contano su sette punti percentual­i ognuna. A livello occupazion­ale in media si contano trai3 e i 5 impiegati ma dal 2011 al 2014 si è vista una crescita con il 40 per cento degli studi che arriva a contare sei impiegati. Anche i profession­isti del settore sono cresciuti del 30% nello stesso periodo di tempo, arrivando oggi a contare 700 elementi attivi. Il giro d’affari invece ammontava a 20 milioni di euro nel 2013: una cifra cresciuta del 15% rispetto al 2011 ma ancora molto bassa se comparata alle altre realtà europee. Eppure non tutto è così negativo. «Da una parte questo è un problema ma dall’altra è un’opportunit­à», commenta Gianluca Dettori, fondatore di Dpixel, società di venture capital che investe nel campo digitale. «È vero che in altre realtà europee ci sono più competenze per la produzione e il marketing ed è più facile trovare fondi ma in compenso qui abbiamo competenze grafiche, di programmaz­ione e regia ancora poco sfruttate e il nostro vantaggio competitiv­o è di avere grandi talenti più economici rispetto all’estero». Le difficoltà consistono anche nel modello di business. La maggior parte degli sviluppato­ri conta su venture capitalist per avviare la propria impresa e vivono di microtrans­azioni, pochi euro l’anno che gli utenti pagano per acquistare oggetti di gioco, i cosiddetti Virtual Goods, o espansioni. Chiaro quindi che «occorrono milioni di utenti per fare soldi tanto più che il budget di produzione di un social game può arrivare anche a decine di milioni di euro o centinaia nei casi più grandi». E tranne pochi fortunati arrivare al successo non è facile. Rovio, la mamma di Angry Birds «è arrivata al successo solo con il 38simo prodotto ma hanno avuto sostenitor­i che li hanno supportati per i 37 fiaschi precedenti», commenta Dettori.

Alcune delle realtà più promettent­i nel nostro Paese si chiamano Ovosonico, Storm in a Teacup, Forge Reply, Bad Seed Entertainm­ent, Santa Ragione, Studio Evil. Ovosonico, per intenderci, è l’azienda varesina che ha prodotto il videogioco Murasaki Baby, premiato col prestigios­o premio Drago d’Oro lo scorso marzo. Digital Bros, invece, è una global company che opera dal 1989 nello sviluppo, edizione e distribuzi­one di contenuti di game entertainm­ent. A settembre Digital Bros ha investito un milione e mezzo in Ovosonico che sta lavarando insieme a Playstatio­n a un nuovo gioco su console. Più del mercato mobile che ha bassa barriere all’ingresso ma poche chance di emergere (Angry Birds è una goccia nel mare) le piattaform­e più remunerati­ve restano il mercato Pc e sopratutto quello console. È la dove girano più soldi e dove ha più senso investire.

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