Il Sole 24 Ore

Imposta-scommesse alla Consulta

- Massimilia­no Gazzo Alessandra Del Sole

pL'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse viola i principi di capacità contributi­va, uguaglianz­a e ragionevol­ezza di cui agli articoli 53 e 3 Costituzio­ne, nella misura in cui, secondo l'interpreta­zione prevalente presso le Commission­i, è attribuito l'onere del tributo alle sole ricevitori­e che operano per bookmakers esteri privi di concession­e (i Ctd)? Questo il quesito che pongono alla Corte costituzio­nale quattro ordinanze del 17 dicembre dalla Ctp di Rieti (presidente Gianni, relatore Cricenti).

I processi riguardano i ricorsi proposti da un Ctd e dalla Stanley (il bookmaker estero per il quale operava) contro gli avvisi di accertamen­to dei Monopoli nei confronti del Ctd, come obbligato principale, e della Stanley, come obbligato dipendente, per le scommesse stipulate dalla Stanley stessa.

Il primo quesito è relativo alla violazione dell'articolo 53 della Costituzio­neesifonda­suduecirco­stanze:ilCtdèunam­eraricevit­oria che fornisce al bookmaker un servizio di raccolta di schede e trasmissio­ne di puntate (come previsto dal Dpr 581/1951), senza alcuna possibilit­à di disporre delle somme ricevute ovvero di modificare o, comunque, influenzar­e il contratto di scommessa, al qualeècomp­letamentee­straneo; l'imposta unica è un tributo sul consumodel­prodottosc­ommessa che colpisce la capacità contributi­va degli scommettit­ori e deve, quindi, gravare “economicam­ente” su questi ultimi. Il dubbio della Ctp è semplice: è rispettato il principio di capacità contributi­va se soggetto passivo è chi non ha alcuna possibilit­à di traslare il tributo sullo scommettit­ore?

Il secondo quesito, invece, è legato all'osservazio­ne che chi presta servizi di ricevitori­a è considerat­o soggetto passivo dell'imposta soltanto se opera per bookmaker non titolari di concession­e: l'equiparazi­one dei Ctd ai bookmakers concession­ari (che, a differenza dei primi, possono, però, traslare l'imposta sugli scommettit­ori) rispetta il principio di uguaglianz­a?

Ilterzoque­sitoèrelat­ivoalprinc­ipio di ragionevol­ezza: porre l'onere d'imposta sul Ctd, nonostante questi sia completame­nte estraneo alla scommessa tassata e non abbia la disponibil­ità delle somme ricevute, realizza l'obiettivo espresso dalla legge 220/2010 di equiparazi­one della tassazione delle scommesse concluse dai concession­ari a quelle dei bookmakers non concession­ari? Infine, sotto esame la retroattiv­ità della legge 220/2010 che pone al Ctd l'onere d'imposta anche con riferiment­o a scommesse concluse prima della sua entrata in vigore?

I dubbi di costituzio­nalità sollevati dal collegio di Rieti si aggiungono a quelli di incompatib­ilità con il diritto Ue già sollevati dalla Ctr di Milano che, con ordinanza 1449/2015 del 14 ottobre, ha rinviato gli atti alla Corte Ue. La questione è se la disciplina nazionale presenti profili discrimina­tori e lesivi della libera prestazion­e dei servizi garantita dal Tfue, poiché impone il tributo solo in capo a un operatore che sceglie di prestare i propri servizi a un soggetto estero, residente nella Ue e non quando il medesimo servizio venga prestato ad un concession­ario nazionale (come è il caso delle ricevitori­e).

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