Imposta-scommesse alla Consulta
pL'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse viola i principi di capacità contributiva, uguaglianza e ragionevolezza di cui agli articoli 53 e 3 Costituzione, nella misura in cui, secondo l'interpretazione prevalente presso le Commissioni, è attribuito l'onere del tributo alle sole ricevitorie che operano per bookmakers esteri privi di concessione (i Ctd)? Questo il quesito che pongono alla Corte costituzionale quattro ordinanze del 17 dicembre dalla Ctp di Rieti (presidente Gianni, relatore Cricenti).
I processi riguardano i ricorsi proposti da un Ctd e dalla Stanley (il bookmaker estero per il quale operava) contro gli avvisi di accertamento dei Monopoli nei confronti del Ctd, come obbligato principale, e della Stanley, come obbligato dipendente, per le scommesse stipulate dalla Stanley stessa.
Il primo quesito è relativo alla violazione dell'articolo 53 della Costituzioneesifondasuduecircostanze:ilCtdèunameraricevitoria che fornisce al bookmaker un servizio di raccolta di schede e trasmissione di puntate (come previsto dal Dpr 581/1951), senza alcuna possibilità di disporre delle somme ricevute ovvero di modificare o, comunque, influenzare il contratto di scommessa, al qualeècompletamenteestraneo; l'imposta unica è un tributo sul consumodelprodottoscommessa che colpisce la capacità contributiva degli scommettitori e deve, quindi, gravare “economicamente” su questi ultimi. Il dubbio della Ctp è semplice: è rispettato il principio di capacità contributiva se soggetto passivo è chi non ha alcuna possibilità di traslare il tributo sullo scommettitore?
Il secondo quesito, invece, è legato all'osservazione che chi presta servizi di ricevitoria è considerato soggetto passivo dell'imposta soltanto se opera per bookmaker non titolari di concessione: l'equiparazione dei Ctd ai bookmakers concessionari (che, a differenza dei primi, possono, però, traslare l'imposta sugli scommettitori) rispetta il principio di uguaglianza?
Ilterzoquesitoèrelativoalprincipio di ragionevolezza: porre l'onere d'imposta sul Ctd, nonostante questi sia completamente estraneo alla scommessa tassata e non abbia la disponibilità delle somme ricevute, realizza l'obiettivo espresso dalla legge 220/2010 di equiparazione della tassazione delle scommesse concluse dai concessionari a quelle dei bookmakers non concessionari? Infine, sotto esame la retroattività della legge 220/2010 che pone al Ctd l'onere d'imposta anche con riferimento a scommesse concluse prima della sua entrata in vigore?
I dubbi di costituzionalità sollevati dal collegio di Rieti si aggiungono a quelli di incompatibilità con il diritto Ue già sollevati dalla Ctr di Milano che, con ordinanza 1449/2015 del 14 ottobre, ha rinviato gli atti alla Corte Ue. La questione è se la disciplina nazionale presenti profili discriminatori e lesivi della libera prestazione dei servizi garantita dal Tfue, poiché impone il tributo solo in capo a un operatore che sceglie di prestare i propri servizi a un soggetto estero, residente nella Ue e non quando il medesimo servizio venga prestato ad un concessionario nazionale (come è il caso delle ricevitorie).