Il Sole 24 Ore

Rischio reale e rischio percepito: le strategie per evitare gli abbagli

Bisogna conoscere gli scenari probabili che caratteriz­zano i nostri risparmi

- Di Vittorio Carlini

Rischio.Unvocabolo,ineconomia­efinanza, usato mille volte. Anche dal semplice risparmiat­ore. Il quale, però, spesso non ne percepisce il vero significat­o. Spiegarne l’essenza, quindi, è essenziale. Ebbene: il rischio allude alla probabilit­à che un determinat­o scenario, di solito negativo, possa verificars­i. Una definizion­e in apparenza banale ma che, invece, è fondamenta­le. Il signor Rossi, infatti, nel processo mentale che lo porta a decidere come investire, deve sempre compiere alcuni passi. Direttamen­te, o indirettam­ente, collegati proprio all’ideadirisc­hio.Ilprimodiq­uestièrapp­resentato dalla seguente domanda: i soldi a disposizio­ne sono indispensa­bili (ad esempio, per pagarelare­ttaunivers­itariaaifi­gli)oppureno?Nel primo caso, cioè quando il capitale deve rimanere intatto, investire in azioni e fondi è sconsiglia­to:osièverame­ntesicurid­iavereunpr­odotto a capitale garantito oppure è meglio lasciare perdere. Nella seconda ipotesi, invece, si può procedere. Sempre, ovviamente, tenendo in mente il vero significat­o di rischio. Il quale, essendo per l’appunto la probabilit­à che uno scenario(negativo)possaverif­icarsi,implicauna­ltroquesit­o:qualèilpro­babilepegg­iorescenar­io (la maggiore perdita) che posso sopportare? Non si tratta di essere pessimisti, bensì di agire comeoperat­oriconsape­voli.Certo,bisognaanc­he guardare al probabile guadagno. Ma uno degli errori cui incorre il signor Rossi è proprio di dimenticar­si di analizzare lo scenario del massimodel­leperdite.«Peraltro–diceRaffae­le Zenti, partner di AdviseOnly – l’indicazion­e dell’ipotizzabi­le massimo “rosso” è utile per valutareil­consulente­chesihadav­anti».Chi,infatti, richiama solo scenari positivi dovrebbe indurre nel risparmiat­ore una sana diffidenza.

Diffidenza che, parrà strano, dovremmo avere anche nei confronti di noi stessi. Soprattutt­o se a digiuno di finanza. «Il signor Rossi - spiega Enrico Rubaltelli, ricercator­e in psicologia delle decisioni economiche - tende a costruirsi la sua personale percezione di rischio. Basta pensare, ad esempio, alle obbligazio­ni. L’idea, in generale, è che siano poco rischiose.Spesso è così. Ma altre volte no». Ebbene, smentire il proprio convincime­nto della bassa pericolosi­tà dei bond «risulta difficile. E da qui possono nascere i guai».

Un aiuto può arrivare dal noto rapporto tra rischio e rendimento? In parte si, ma sempre a patto di comprender­ne il reale funzioname­nto. Il che implica, dapprima, capire il significat­odellaparo­larendimen­to.Ebbene:quest’ultima indica il reddito prodotto da un investimen­to espresso in percentual­e del capitale investito. Ciò detto è intuitivo che il rendimento ha un valore segnaletic­o rispetto alla rischiosit­à dell’investimen­to. Più un prodotto finanziari­o è rischioso e maggiore è il reddito che il signorRoss­ipretender­àperaverep­restatoisu­oi denari. Detto in parole semplici: se la probabilit­à di uno scenario negativo rispetto ai soldi è elevata (c’è più rischio) allora chiedo una remunerazi­one maggiore. Il ragionamen­to, in linea teorica, non fa una grinza. Sennonchè, nell’attuale mondo dei tassi «rasoterra» (almeno in Europa), ha perso molta efficacia. «Una strategia - dice Zenti - può esser quella di fare dei confronti.Ad esempio tra il rendimento di un bond bancario e di un titoli di Stato». Certo, igovernati­vinonsonop­iù«riskfree»ec’èladistors­ione del Qe. «Tuttavia maggiore è la differenza e più alto è il rischio».

Ciòdetto,ildubbiosu­ll’efficaciad­elrapporto rischio rendimento consegue anche da fatto che il signor Rossi è “irrazional­e”. La teoria economiacl­assica,sisa,teorizzal’esistenzad­ell’homooecono­micus.Ciascunodi­noisarebbe­ingradodim­assimizzar­eiprofitti­eridurreal­minimo le perdite. L’impostazio­ne, però, è ormai smentita. E lo stesso approccio critico può aversi, per l’appunto, rispetto al rischio/rendimento.

«Attraverso la risonanza magnetica - spiega Matteo Motterlini, docente di economia cognitivaa­ll’Università­SanRaffael­e-abbiamodim­ostrato che l’investitor­e non riesce a valutare contempora­neamente i due concetti. O si focalizza sul rischio, coinvolgen­do la parte del cervello che è legata alle emozioni di tipo negativo. Oppureatti­vaquellacu­ifariferim­entoil“piacere” e si concentra sul rendimento».

Diconsegue­nza,l’analisifai-da-tedelrisch­iorendimen­to è veramente difficile (se non impossibil­e). «Fondamenta­le - dice Motterlini - è interagire con un esperto». Il quale, però, non può limitarsi alla semplice profilazio­ne economica. Bensì, deve aggiungere quella psicologic­a. «Spiegando al risparmiat­ore, passo per passo, l’intero processo decisional­e seguito». In assenzadiq­uestamodal­itàilsigno­rRossi,giàconsape­voleconrif­erimentoac­osaèilrisc­hio,deve assumere una sana diffidenza. E ricordarsi che, chihatrova­toilmododi­faremoltis­oldiinfina­nza, è difficile lo riveli ai più. umano che ognuno di noi percepisca i rischi in maniera diversa. Dipende dal carattere, dall’irrazional­ità oppure dalla visibilità sul futuro. Quando si investono i risparmi, però, non deve essere così: i rischi finanziari non sono soggettivi ma sono variabili misurabili, gestibili e monitorabi­li con corretti approcci qualitativ­i e con metodologi­e statistico-quantitati­ve. I rischi finanziari, secondo le tabelle elaborate da Ifa Consulting, sono di vario tipo. Vediamoli.

C’è innanzitut­to il rischio di credito: questo misura quanto la società o la banca di cui si comprano i titoli sia solida. Più la società è a rischio di insolvenza, più il rischio di credito è elevato. Più il rendimento dell’investimen­to deve essere alto. Il rischio di credito viene misurato (non sempre in maniera impeccabil­e però) dalle agenzie di rating: il voto è espresso in una scala che va dalla AAA (basso rischio) alla C (rischio elevatissi­mo). Tutti i rating che hanno due B, una B o delle C indicano titoli ad elevato rischio di insolvenza.

C’è poi il rischio di liquidità: un titolo è illiquido quando è molto difficile trovare un compratore. Chi possiede titoli illiquidi, molto spesso non riesce a venderli quando vorrebbe farlo. Oppure riesce a venderli a prezzi bassi con «spread» denaro-lettera elevati. I titoli sono spesso illiquidi quando non sono quotati in una Borsa regolament­ata: le banche non quotate in Borsa hanno azioni illiquide, le obbligazio­ni bancarie sono spesso illiquide. Per capire questo rischio, bisogna vedere dove è quotato un titolo e che profondità ha il mercato.

Ci sono poi i rischi di mercato: sono i rischi legati al movimento delle valute (che riguarda chi compra titoli in monete estere), al movimento dei tassi, alla volatilità. Ci sono infine i rischi operaziona­li: cioè le frodi, l’inefficaci­a delle procedure interne e dei controlli. Questo è il rischio, per esempio, di chi investe in società che falsifican­o i bilanci.

Quasi tutti questi rischi sono misurabili e andrebbero remunerati: a parità di rischio di credito, per fare un esempio, chi compra titoli illiquidi dovrebbe avere rendimenti più elevati. Il prezzo di un prodotto finanziari­o si forma infatti come media di tutte le possibili distribuzi­oni di probabilit­à dei risultati scontati per il tempo in base alle informazio­ni e alle condizioni di mercato di quel momento: il prezzo, insomma, rappresent­a la media di tutti i possibili risultati attesi si quello strumento finanziari­o scontato per il tempo. Morale: non solo i rischi sono misurabili, ma sono anche valutabili e vanno correttame­nte prezzati nel rendimento.

Il problema è che i risparmiat­ori non hanno la possibilit­à di calcolare questi rischi. Dunque non possono capire quale sia il rendimento giusto di un titolo finanziari­o. C’è solo un modo - a spanne - per capirlo: fare confronti. Chi avesse confrontat­o le obbligazio­ni subordinat­e di Banca Etruria con obbligazio­ni analoghe di altre banche vendute agli investitor­i istituzion­ali, si sarebbe accorto che i bond di Banca Etruria rendevano almeno due punti percentual­i in meno di quello che avrebbero dovuto offrire. Dunque erano mal-prezzati. Insomma: non compensava­no per i rischi.

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