Rischio reale e rischio percepito: le strategie per evitare gli abbagli
Bisogna conoscere gli scenari probabili che caratterizzano i nostri risparmi
Rischio.Unvocabolo,ineconomiaefinanza, usato mille volte. Anche dal semplice risparmiatore. Il quale, però, spesso non ne percepisce il vero significato. Spiegarne l’essenza, quindi, è essenziale. Ebbene: il rischio allude alla probabilità che un determinato scenario, di solito negativo, possa verificarsi. Una definizione in apparenza banale ma che, invece, è fondamentale. Il signor Rossi, infatti, nel processo mentale che lo porta a decidere come investire, deve sempre compiere alcuni passi. Direttamente, o indirettamente, collegati proprio all’ideadirischio.Ilprimodiquestièrappresentato dalla seguente domanda: i soldi a disposizione sono indispensabili (ad esempio, per pagarelarettauniversitariaaifigli)oppureno?Nel primo caso, cioè quando il capitale deve rimanere intatto, investire in azioni e fondi è sconsigliato:osièveramentesicuridiavereunprodotto a capitale garantito oppure è meglio lasciare perdere. Nella seconda ipotesi, invece, si può procedere. Sempre, ovviamente, tenendo in mente il vero significato di rischio. Il quale, essendo per l’appunto la probabilità che uno scenario(negativo)possaverificarsi,implicaunaltroquesito:qualèilprobabilepeggiorescenario (la maggiore perdita) che posso sopportare? Non si tratta di essere pessimisti, bensì di agire comeoperatoriconsapevoli.Certo,bisognaanche guardare al probabile guadagno. Ma uno degli errori cui incorre il signor Rossi è proprio di dimenticarsi di analizzare lo scenario del massimodelleperdite.«Peraltro–diceRaffaele Zenti, partner di AdviseOnly – l’indicazione dell’ipotizzabile massimo “rosso” è utile per valutareilconsulentechesihadavanti».Chi,infatti, richiama solo scenari positivi dovrebbe indurre nel risparmiatore una sana diffidenza.
Diffidenza che, parrà strano, dovremmo avere anche nei confronti di noi stessi. Soprattutto se a digiuno di finanza. «Il signor Rossi - spiega Enrico Rubaltelli, ricercatore in psicologia delle decisioni economiche - tende a costruirsi la sua personale percezione di rischio. Basta pensare, ad esempio, alle obbligazioni. L’idea, in generale, è che siano poco rischiose.Spesso è così. Ma altre volte no». Ebbene, smentire il proprio convincimento della bassa pericolosità dei bond «risulta difficile. E da qui possono nascere i guai».
Un aiuto può arrivare dal noto rapporto tra rischio e rendimento? In parte si, ma sempre a patto di comprenderne il reale funzionamento. Il che implica, dapprima, capire il significatodellaparolarendimento.Ebbene:quest’ultima indica il reddito prodotto da un investimento espresso in percentuale del capitale investito. Ciò detto è intuitivo che il rendimento ha un valore segnaletico rispetto alla rischiosità dell’investimento. Più un prodotto finanziario è rischioso e maggiore è il reddito che il signorRossipretenderàperavereprestatoisuoi denari. Detto in parole semplici: se la probabilità di uno scenario negativo rispetto ai soldi è elevata (c’è più rischio) allora chiedo una remunerazione maggiore. Il ragionamento, in linea teorica, non fa una grinza. Sennonchè, nell’attuale mondo dei tassi «rasoterra» (almeno in Europa), ha perso molta efficacia. «Una strategia - dice Zenti - può esser quella di fare dei confronti.Ad esempio tra il rendimento di un bond bancario e di un titoli di Stato». Certo, igovernativinonsonopiù«riskfree»ec’èladistorsione del Qe. «Tuttavia maggiore è la differenza e più alto è il rischio».
Ciòdetto,ildubbiosull’efficaciadelrapporto rischio rendimento consegue anche da fatto che il signor Rossi è “irrazionale”. La teoria economiaclassica,sisa,teorizzal’esistenzadell’homooeconomicus.Ciascunodinoisarebbeingradodimassimizzareiprofittieridurrealminimo le perdite. L’impostazione, però, è ormai smentita. E lo stesso approccio critico può aversi, per l’appunto, rispetto al rischio/rendimento.
«Attraverso la risonanza magnetica - spiega Matteo Motterlini, docente di economia cognitivaall’UniversitàSanRaffaele-abbiamodimostrato che l’investitore non riesce a valutare contemporaneamente i due concetti. O si focalizza sul rischio, coinvolgendo la parte del cervello che è legata alle emozioni di tipo negativo. Oppureattivaquellacuifariferimentoil“piacere” e si concentra sul rendimento».
Diconseguenza,l’analisifai-da-tedelrischiorendimento è veramente difficile (se non impossibile). «Fondamentale - dice Motterlini - è interagire con un esperto». Il quale, però, non può limitarsi alla semplice profilazione economica. Bensì, deve aggiungere quella psicologica. «Spiegando al risparmiatore, passo per passo, l’intero processo decisionale seguito». In assenzadiquestamodalitàilsignorRossi,giàconsapevoleconriferimentoacosaèilrischio,deve assumere una sana diffidenza. E ricordarsi che, chihatrovatoilmododifaremoltisoldiinfinanza, è difficile lo riveli ai più. umano che ognuno di noi percepisca i rischi in maniera diversa. Dipende dal carattere, dall’irrazionalità oppure dalla visibilità sul futuro. Quando si investono i risparmi, però, non deve essere così: i rischi finanziari non sono soggettivi ma sono variabili misurabili, gestibili e monitorabili con corretti approcci qualitativi e con metodologie statistico-quantitative. I rischi finanziari, secondo le tabelle elaborate da Ifa Consulting, sono di vario tipo. Vediamoli.
C’è innanzitutto il rischio di credito: questo misura quanto la società o la banca di cui si comprano i titoli sia solida. Più la società è a rischio di insolvenza, più il rischio di credito è elevato. Più il rendimento dell’investimento deve essere alto. Il rischio di credito viene misurato (non sempre in maniera impeccabile però) dalle agenzie di rating: il voto è espresso in una scala che va dalla AAA (basso rischio) alla C (rischio elevatissimo). Tutti i rating che hanno due B, una B o delle C indicano titoli ad elevato rischio di insolvenza.
C’è poi il rischio di liquidità: un titolo è illiquido quando è molto difficile trovare un compratore. Chi possiede titoli illiquidi, molto spesso non riesce a venderli quando vorrebbe farlo. Oppure riesce a venderli a prezzi bassi con «spread» denaro-lettera elevati. I titoli sono spesso illiquidi quando non sono quotati in una Borsa regolamentata: le banche non quotate in Borsa hanno azioni illiquide, le obbligazioni bancarie sono spesso illiquide. Per capire questo rischio, bisogna vedere dove è quotato un titolo e che profondità ha il mercato.
Ci sono poi i rischi di mercato: sono i rischi legati al movimento delle valute (che riguarda chi compra titoli in monete estere), al movimento dei tassi, alla volatilità. Ci sono infine i rischi operazionali: cioè le frodi, l’inefficacia delle procedure interne e dei controlli. Questo è il rischio, per esempio, di chi investe in società che falsificano i bilanci.
Quasi tutti questi rischi sono misurabili e andrebbero remunerati: a parità di rischio di credito, per fare un esempio, chi compra titoli illiquidi dovrebbe avere rendimenti più elevati. Il prezzo di un prodotto finanziario si forma infatti come media di tutte le possibili distribuzioni di probabilità dei risultati scontati per il tempo in base alle informazioni e alle condizioni di mercato di quel momento: il prezzo, insomma, rappresenta la media di tutti i possibili risultati attesi si quello strumento finanziario scontato per il tempo. Morale: non solo i rischi sono misurabili, ma sono anche valutabili e vanno correttamente prezzati nel rendimento.
Il problema è che i risparmiatori non hanno la possibilità di calcolare questi rischi. Dunque non possono capire quale sia il rendimento giusto di un titolo finanziario. C’è solo un modo - a spanne - per capirlo: fare confronti. Chi avesse confrontato le obbligazioni subordinate di Banca Etruria con obbligazioni analoghe di altre banche vendute agli investitori istituzionali, si sarebbe accorto che i bond di Banca Etruria rendevano almeno due punti percentuali in meno di quello che avrebbero dovuto offrire. Dunque erano mal-prezzati. Insomma: non compensavano per i rischi.