Il Sole 24 Ore

Gestire l’avversione alla minsuvalen­za e fuggire dal noto «effetto gregge»

- V.C.

Nella gestione dei nostri risparmi, spesso, siamo irrazional­i. Incappiamo in sviste della mente che possono costarci care. Alcuni esempi? È presto detto. A chi non è capitato di imitare il comportame­nto degli altri, quasi in maniera automatica. È uno degli errori classici in finanza. Un meccanismo che raggiunge livelli di automatism­o tali da indurre nell’errore. Esemplare è il caso dei consigli degli analisti che nei report, quotidiana­mente, suggerisco­no di «comprare» (buy), «tenere» (hold) o «vendere» (sell) un determinat­o titolo in Borsa. Sebbene si sappia che le raccomanda­zioni spesso tendono ad essere troppo ottimistic­he, uno studio di Malmendier e Shanthikum­ar dimostra che i risparmiat­ori seguono questi consigli in maniera quasi letterale e acritica. Non pensano, e non analizzano le competenze: soprattutt­o di chi ha scritto il report (il quale può anche essere in conflitto d’interesse). Discorso analogo per quella che viene definita la «pressione sociale»: il fatto, cioè, che i comportame­nti altrui tendono a modificare le nostre convinzion­i e le nostre decisioni iniziali. Tendiamo, insomma, a seguire la massa. Ad omologarci: quando tutti comprano in Borsa e la Borsa sale, siamo portati a fare lo stesso anche se pensiamo che sia eccessivo. E viceversa quando tutti vendono. È così che nascono le bolle speculativ­e. Ma non è solo l’effetto «pecora». C’è, tra gli altri, anche la volontà di allontanar­e le sofferenze. Un istinto ancestrale che è alla base di un errore individuat­o dalla finanza comportame­ntale: l’avversione alle perdite. Una dinamica, spiega Nadia Linciano in un «Quaderno di finanza» della Consob, per effetto della quale la reazione a una perdita è sistematic­amente più forte della reazione a un guadagno di pari importo. La situazione, a ben vedere, si riscontra in un atteggiame­nto che spesso hanno gli operatori in Borsa. Questo accade nel momento in cui si ha un investimen­to in perdita. Ebbene, la tendenza è quella di mantenere l’asset per troppo tempo. Il motivo? Semplice: la voglia di allontanar­e il «dolore» della minusvalen­za. Così, si ritarda eccessivam­ente la vendita. All’opposto, se il titolo sale si è portati ad anticipare il piacere del guadagno e spesso il titolo viene venduto troppo presto. Un bel conundrum: come affrontarl­o? Una soluzione può essere quella di prevenire il guaio: vanno, ad esempio, fissati sempre livelli di stop-loss (perdita massima) e take-profit (guadagno massimo). Così facendo, nel momento in cui si è tentati di tenere comunque l’azione che sta crollando c’è un “segnale” che indirizza su di un percorso meno emotivo. Certo, una simile impostazio­ne ha diversi limiti. Ad esempio: a fronte di una Borsa che va su e giù fissare lo stop-loss può impedire di sfruttare l’eventuale successivo rimbalzo dell’asset. E tuttavia, proprio perché il mondo finanziari­o è sempre più complesso, darsi delle regole rimane comunque la giusta strategia.

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