Banche in allerta ma non si rischia come ai tempi dei subprime
Diciamolo subito: non ci sono elementi di allarme tali da far pensare al ripetersi di una crisi come quella dei mutui subprime. Ma quando si parla dei debiti delle sempre più sofferenti compagnie petrolifere e minerarie non si parla di bruscolini. Bloomberg Intelligence ha tritato una bella mole di numeri, esaminando la situazione delle cinquemila maggiori società quotate al mondo in questi settori di attività.
Il risultato è che hanno debiti complessivi per 3.600 miliardi di dollari, più raddoppiati rispetto al 2008. La leva, fino a cinque anni era negativa, è aumentata in modo esponenziale: oggi il debito netto è 8,3 volte l’Ebitda. Di questi debiti 2.100 miliardi si stima siano in mano agli obbligazionisti. Degli altri 1.500 miliardi non si hanno notizie precise, ma è probabile che i creditori siano banche e fondi. La cifra, osserva Bloomberg, corrisponde a circa l’1,5% dell’attivo di tutte le banche quotate del mondo, contro meno dell’1% nel caso dei mutui subprime nel 2007.
Il paragone è comunque fuorviante sotto molti punti di vista. Prima di tutto il calcolo comprende anche i debiti “sani”, non solo quelli con rating spazzatura, ma anche quelli investment grade di grandi compagnie, talvolta tuttora giudicate solidissime: ExxonMobil conserva addirittura un giudizio “tripla A”, come gli Stati Uniti e pochi altri Paesi al mondo. Inoltre, il disagio dei produttori di materie prime è diffuso in tutto il mondo, non concentrato negli Usa com’era l’epicentro della crisi subprime.
I debiti sono quindi frammentati e dispersi in mano a molti soggetti diversi. Non sono pochi, beninteso. Ma dalle informazioni finora rese pubbliche non risulta che nessuna grande banca abbia un’esposizione al settore energetico superiore al 23% del portafoglio crediti. Inoltre, non sembra che ci sia stato un fenomeno di cartolarizzazione spinto , come ai tempi dei subprime, quando i crediti dei cattivi pagatori erano stati più volte impacchettati e ri-impacchettati in derivati complessi.
Dei crediti concessi alle società minerarie si sa ancora poco. Molte banche europee e asiatiche, inoltre, non hanno ancora chiarito la loro esposizione verso l’industria delle materie prime. Ma negli Stati Uniti le forti pressioni degli investitori hanno convinto le grandi banche ad entrare nel dettaglio.
Jp Morgan, ad esempio, questa settimana ha dichiarato di aver accantonato altri 500 milioni di dollari a fronte di crediti deteriorati nel settore Oil & Gas: il totale delle riserve è salito a 1,23 miliardi e potrebbe essere innalzato a 1,5 miliardi se il petrolio andrà a 25 dollari al barile. Anche Wells Fargo ha accantonato 1,2 miliardi per potenziali perdite, ma solo il 2% dei suoi crediti sono a società energetiche. Goldman Sachs, Bank of America Merrill Lynch e in generale tutti i big del credito a stelle strisce sono in una situazione simile. Un’esposizione più forte ce l’hanno alcune banche di dimensioni minori, che operano in zone ad alta vocazione petrolifera. Ma gli analisti non vedono il rischio di fallimenti nel settore creditizio, come era accaduto in occasione del crollo del petrolio di metà anni ’80.
Nessun motivo, dunque, per lasciarsi prendere dal panico. Gli analisti di Goldman Sachs in particolare, in un rapporto appena pubblicato, invitano a non paragonare nemmeno lontanamente la situazione a quella che condusse al collasso di Lehman Brothers e alla conseguente crisi finanziaria mondiale. Le sue argomentazioni si basano su una serie di paragoni. Il debito verso società energetiche high yield negli Usa (obbligazioni più crediti bancari) ammonta a circa 300 miliardi di dollari, contro gli 800 miliardi dei subprime al picco nel 2007. Anche la crescita dei debiti è stata decisamente più esplosiva nel caso dei mutui “cattivi”: più 5mila miliardi tra il 2002 e il 2007, contro un incremento di 1.500 miliardi per i debiti Oil & Gas tra il 2006 e il 2014. Il crollo delle valutazioni immobiliari è inoltre arrivato inaspettato, dicono gli analisti di Goldman. Ma soprattutto oggi le banche sono infinitamente più solide e capitalizzate rispetto ad allora. Un’evoluzione che è avvenuta proprio grazie alle dure lezioni apprese a causa di quel disadisastro.