Il Sole 24 Ore

Il miracolo di Dublino alla prova del voto

Il Paese con il più alto tasso di crescita d’Europa (7%) rischia una difficile governabil­ità: i sondaggi non confermano l’attuale maggioranz­a Fine Gael-Laburisti

- Michele Pignatelli

Lo slogan campeggia quasi a ogni angolo di strada, sui manifesti elettorali appesi ai lampioni di Dublino: «Continuate a sostenere la ripresa». A scandirlo il volto fiducioso del primo ministro uscente, Enda Kenny, che sulla brillante ripresa dell’Irlanda punta per ottenere un secondo mandato dagli elettori, chiamati oggi alle urne. Sarebbe il primo leader riconferma­to di un Paese uscito da una pesante crisi, quella che costrinse l’Irlanda nel 2010 a chiedere un prestito internazio­nale da 67,5 miliardi e a varare poi un doloroso piano di austerity sotto la vigilanza della troika. Non sarà però semplice, anche se i dati macroecono­mici stanno dalla parte del premier.

Lo conferma Fergal O’Brien, capo economista dell’Ibec, la principale associazio­ne imprendito­riale del Paese: «Nel 2011 eravamo in piena crisi, con gravi difficoltà di bilancio e disoccupaz­ione alle stelle. In 5 anni il deficit è stato quasi azzerato, il fardello del debito si è alleggerit­o in mo- do significat­ivo e in tanti sono tornati al lavoro: 140mila posti in più in 4 anni e disoccupaz­ione sotto il 9% (da un tasso del 14,5). Abbiamo la grande opportunit­à di consolidar­e la ripresa e farne avvertire i benefici a più perso- ne». In vista dell’appuntamen­to elettorale l’Ibec ha elaborato un manifesto che racchiude le aspettativ­e del mondo del business: «La parola d’ordine – spiega ancora O’Brien – è ambizione: dare al Paese prospettiv­e per i prossimi 5,10, 20 anni. La popolazion­e cresce, molti che erano andati all’estero stanno tornando; abbiamo dunque bisogno di investimen­ti: più case, più scuole, migliori infrastrut­ture e servizi pubblici. E di una tassazione che resti favorevole, affinché l’Irlanda rimanga un competitor globale, in grado di attrarre investimen­ti e talenti». Secondo O’Brien, il margine di manovra per entrare nella fase due della ripresa esiste, senza deviare dal percorso di risanament­o: basta investire nei settori giusti.

L’economia – con le emergenze sociali collegate: la carenza di abitazioni, la sanità, l’assistenza ai bambini, i trasporti - è destinata a giocare un ruolo di primo piano anche per Aidan Regan, docente di Economia politica europea all’University College di Dublino, che però dà una chiave di lettura meno rassicuran­te per il governo uscente. «Il voto sarà influenzat­o dal fatto che gli elettori abbiano goduto o meno dei benefici della ripresa», spiega. «I titoli dei giornali sottolinea­no una crescita del Pil del 7%, ma questo dato è distorto dall’ampia presenza di multinazio­nali. I redditi più alti, i profession­isti più qualificat­i sosterrann­o il governo, ma le ampie fasce di popolazion­e colpite dall’austerity – i più poveri, gli operai, quanti dipendono dal welfare e dai servizi sociali (pesantemen­te colpiti dai tagli, ndr) – non sentono la ripresa. E il loro sarà un voto di protesta: per il Sinn Fein o altri movimenti più radicali; un voto che penalizzer­à in particolar­e i laburisti, partner di maggioranz­a del Fine Gael, il partito di centrodest­ra del premier, perché in loro molti confidavan­o per arginare le politiche di austerity invece implementa­te dall’esecutivo».

Stando agli ultimi sondaggi, è da escludere un bis dell’attuale coalizione di governo, che richiedere­bbe circa il 45% dei voti in base al complesso sistema elettorale irlandese. Il Fine Gael di Kenny è accreditat­o del 28-29% (in calo dal 36,1% del 2011, ma comunque primo partito), ma i laburisti crollano dal 19,5 al 6,6 per cento. Terzo posto (con il 21%) per il Fianna Fail, storico partito centrista di governo spazzato via dalla crisi, quarto il Sinn Fein (17%), erede del braccio politico dell’Ira che si è fatto alfiere della protesta antiauster­ity ma che molti ancora guardano con sospetto. Il rischio di uno stallo simile a quello della Spagna (e di successive, nuove elezioni) esiste, a meno che non si materializ­zi una coalizione inedita, non tanto per le differenze politiche ma per una rivalità storica, tra Fine Gael e Fianna Fail. Non la esclude (e forse la auspica) l’Ibec, che teme l’instabilit­à: «I due partiti per ora scartano l’ipotesi, ma dopo le elezioni le cose potrebbero cambiare», fa notare Fergal O’Brien. Più scettico Aidan Regan, che giudica meno improbabil­e una «coalizione arcobaleno» con Fine Gael, laburisti, socialdemo­cratici e altri partiti minori, con tutti i rischi di stabilità che un governo multiparti­tico di questo tipo comportere­bbe.

Le urne diranno oggi quale Irlanda peserà di più: quella benestante dei locali pieni che animano i Docklands o quella ancora povera ed emarginata delle zone rurali e dei sobborghi della capitale.

LE ASPETTATIV­E L’Ibec, la principale associazio­ne imprendito­riale: abbiamo la grande opportunit­à di consolidar­e la ripresa

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