Il meridionalismo di Zoppi crocevia di laici e cattolici
Oggi la presentazione in Senato: l’autore ne discute con De Rita e Bianco
Magari oggi non è tanto di moda ricordarlo. Eppure la questione meridionale e lo studio dei problemi del Mezzogiorno sono stati un importante crocevia nel quale si sono fecondamente incontrate la migliore cultura politica cattolica e la migliore cultura politica laica, liberale e socialista. È questa la conclusione alla quale un attento lettore arriva dopo aver cercato di appro- fondire il bel libro di Sergio Zoppi “Pietre di confine, personali apprendimenti”.
Si racconta una vita spesa al servizio dei problemi del Paese che si è sviluppata incrociando uomini e questioni che di quel percorso di “personali apprendimenti” sono state vere e proprie “pietre di confine”. Ne parleranno oggi alle 16 e 30 alla biblioteca del Senato in piazza della Minerva 38 con l’autore due protagonisti del dibattito politico e sociale sul Mezzo- giorno: Giuseppe De Rita e Gerardo Bianco.
Zoppi ci presenta un succedersi di incontri e ricordi con i migliori rappresentanti della storia politica dell’Italia. Tra al- tri: Giulio Pastore, La Pira, Gabriele De Rosa, Pasquale Saraceno, e poi Manlio Rossi-Doria, Massimo Severo Giannini, Antonio Maccanico e Giovanni Spadolini. Ed è proprio da Spadolini che comincia il percorso politico-culturale di Zoppi. Approdato da Montecatini alla Cesare Alfieri di Firenze, il futuro animatore del Formez e delle altre migliori organizzazioni meridionalistiche si laurea con Spadolini con una tesi di storia dedicata a Romolo Murri.
È il professore e direttore fiorentino, futuro presidente del Consiglio “laico” ad affidare al giovane studente cattolico una tesi sulle origini del ritorno in politica dei cattolici. In quegli anni Zoppi era impegnato politicamente con quelle che allora si chiamavano le correnti della sinistra della Dc che facevano capo a Pastore e in Toscana a Nicola Pistelli, scomparso prematuramente e fondatore e direttore di “Politica”, un autorevole e brillante quindicinale, che, in piccolo, e in campo democristiano, ricordava non soltanto nella grafica il “Mondo” di Pannunzio. Insomma, il meridionalista Zoppi comincia dagli studi storici e da Spadolini per approdare alla questione meridionale, ai suoi dilemmi. Era capitato lo stesso (mi scuso per il ricordo familiare) a mio padre Francesco Compagna, anche lui meridionalista, che aveva scoperto il Mezzogiorno (dedicandogli poi gran parte del suo tempo) all’Istituto di studi storici di Benedetto Croce e Federico Chabod.
Ho già citato alcuni dei personaggi (c’è anche Andreotti) che attraversano il libro di Zoppi. Credo che fondamentale per il nostro autore sia stato soprattutto l’incontro con Pastore, fin da quando questi fondava e guidava la Cisl, e poi quando fu ministro per il Mezzogiorno. E all’esperienza, del tutto positiva, della collaborazione con il ministero prima di villa Lubin, e poi di via Boncompagni, sono dedicate molte pagine del libro. Così come sullo sfondo, e in tempi nei quali imperversano i luoghi comuni dell’antipolitica non è cosa da poco, c’è una vigorosa e rigorosa rivalutazione dell’opera della Cassa per il Mezzogiorno, dalla quale provvedevano ad impegnarsi al meglio, con rigore etico-politico, servitori dello Stato del calibro di Gabriele Pescatore e di Pasquale Saraceno.
A margine di un brevissimo incontro con Amintore Fanfani Zoppi, giovane cattolico impegnato con discrezione ed orgoglio in politica e che sarà anche in due occasioni uomo di governo, esprime una considerazione che, secondo me, esprime al meglio il livello alto di quella che potremmo definire la migliore classe dirigente della prima Repubblica: «Ero convinto che, salvo la vocazione al sacerdozio, niente era più nobile per un giovane dell’impegno politico». Una considerazione che è una vera e propria pietra di confine.
IL PERCORSO Dagli esordi come studente di storia con Spadolini all’incontro con Pastore leader della Cisl e poi ministro per il Mezzogiorno