Furstenberg: «Così cambierei le sfilate»
La presidente del Cfda spiega il re ady-to-buy: «Non vanno cambiate le logiche produttive »
Lo studio commissionato nel dicembre scorso a Boston Consulting Group (Bcg) su come cambiare le sfilate per avvicinarle ai clienti finali, trasformandole in un evento “consumer” e non solo per addetti ai lavori, «sarà pronto tra due-tre settimane», assicura Diane von Furstenberg, ma alcune certezze la presidente del Cfda, la Camera della moda americana, che con Bcg ha messo a punto anche il suo piano di sviluppo quinquennale, le ha già.
Cosa si aspetta dallo studio Bcg?
Sono curiosa e so che grazie all’esperienza di questa società di consulenza e alla sua capacità di condurre sondaggi e indagini di grande profondità i risultati saranno utili per tutti gli associati del Cfda e, spero, per i presidenti e i membri di altre Camere della moda.
Da Italia e Francia sono arrivate forti perplessità, se non vere e proprie chiusure, all’idea del “ready-to-buy”, la possibilità di comprare subito ciò che sfila.
Vorrei spiegare meglio e una volta per tutte come vedo la questione del ready-to-buy. A New York, dove hanno sfilato le collezioni per l’autunno-inverno 2016-2017, come sta succedendo a Milano e poi accadrà a Parigi, alcuni marchi, tra i quali Michael Kors, Tommy Hilfiger e il mio, hanno annunciato che una piccola, a volte piccolissima, parte della collezione sarebbe stata disponibile subito per l’acquisto, online oppure in alcuni flagshipstore del brand. Ma la trasformazione che intravedo e auspico io, il ready-to-buy nel vero senso della parola, si avrebbe solo se le sfilate presentassero le collezioni che sono già in negozio, cioè quelle della stagione in corso. Oggi vorrebbe dire la primavera-estate 2016.
Ma se è tutto già disponibile in negozio le sfilate a cosa servirebbero?
Diventerebbero degli autentici show, strumenti di promozione e marketing. Come in parte già sono, basti pensare alla sfilate di Kanye West a New York o ad altri eventi in luoghi speciali di Londra, Milano, Parigi, Non ci sarebbe alcun stravolgimento delle logiche produttive, come ho sentito dire in questi giorni.
Il ruolo attuale delle sfilate, che è quello di
mostrare a buyer e addetti ai lavori le collezioni della stagione successiva, a quale mezzo sarebbe affidato?
Penso a presentazioni più “intime”, quasi tutte in showroom, riservate ai buyer e alla stampa specializzata, che dovrebbe però evitare di diffondere urbi et orbi ciò che le vien concesso di vedere in anteprima. Già oggi, lo sappiamo bene, oltre metà degli acquisti sono stati conclusi prima delle settimane della moda. Le campagne vendita sono in corso da mesi a New York, Londra, Milano e Parigi,
Ma perché questo cambiamento? Fattibile, sulla carta, ma comunque epocale?
Da quando esistono i social network le sfilate non sono più un evento per addetti ai lavori. Ricordiamoci che quando sono nate i giornalisti erano ammessi, ma non scrivevano il giorno dopo di capi che sarebbero arrivati nei negozi solo dopo sei mesi. Aspettavano il momento giusto. Oggi tutti vedono tutto subito. E lo vogliono. Ma, come ho detto, le aziende non possono produrre al buio per essere pronte a vendere. Ecco perché penso al cambio di riferimento stagionale. Non sarebbe così difficile attuarlo.
Vede altri pericoli per il sistema moda, oltre alle nuove regole imposte dal web?
Dobbiamo ripensare l’offerta. C’è troppo prodotto, i consumatori sono sommersi. Quello che potrebbe succedere – e sarebbe la fine per tutti – è che la gente si stufi di comprare moda e, visto che stiamo parlando di beni superflui, scegliesse di usare il denaro per altri piaceri, come vacanze e benessere.
Il vero pericolo è sommergere di prodotti le consumatrici, facendole disamorare della moda