Borse, continua il rimbalzo con il boom di occupati Usa
Creati a febbraio 242mila posti di lavoro - Disoccupazione ferma al 4,9% ma scendono i salar i Solo Milano chiude in calo (-0,38%) con le banche
p Con l’ennesima chiusura positiva le Borse europee archiviano la terza settimana di rimbalzo, sostenute dalla ripresa delle materie prime e dai dati sulloccupazione Usa: in controtendenza solo Milano (-0,38%), appesantita dai titoli bancari. Negli Stati Uniti in febbraio sono stati creati 242mila impieghi, più dei 195mila attesi; da registrare comunque un inatteso calo nei salari.
L’occupazione torna a segnare tempo sereno per l’economia americana: in febbraio sono stati creati 242.000 nuovi impieghi, ben più dei 195.000 previsti. Non solo: la marcia delle assunzioni nette nei due mesi precedenti, dicembre e gennaio, è stata rivista al rialzo di 30.000 buste paga. E ancora: il tasso di disoccupazione è rimasto basso, fermo al 4,9%, l’indicatore allargato ai lavoratori marginali è scivolato al 9,7% dal 9,9% di gennaio, il minimo dal maggio 2008, e la partecipazione alla forza lavoro è lievitata al 62,9%, il massimo dal gennaio 2015 e in chiaro recupero dal 62,4% toccato in settembre.
La schiarita sul mercato del la- voro non dovrebbe imprimere immediate accelerazioni verso una nuova stretta sui tassi d’interesse al prossimo vertice della Federal Reserve fra meno di due settimane, il 15 e 16 marzo, scongelando la manovra di normalizzazione di politica monetaria cominciata lo scorso dicembre e arrestata da tensioni globali e dalle loro ripercussioni negli Stati Uniti. Potrebbe però, allontanando timori di cadute in crisi o recessione, mettere in agenda un secondo intervento forse già ai vertici del Federal Open Market Committee di aprile o giugno e comunque entro fine anno. Anche se i future sui fed funds non danno oggi alcuna chance di strette subito e solo il 6% ad aprile, salendo al 50% a novembre e al 65% a dicembre.
La reazione della borsa americana, che teme strette eccessive, ha avallato questa lettura incerta. È salita sull’onda dei dati ma tra remore e nervosismo, in attesa di chiarimenti sulla politica monetaria: l’indice S&P 500 - già in rialzo da lunedì di oltre il 2% per la terza settimana consecuti- va di guadagni e la miglior serie da novembre - ieri è ulteriormente lievitato ma solo di una frazione di punto. I titoli del Tesoro decennali, classici beni rifugio dal rischio, sono scesi spingendo i rendimenti in rialzo all’1,9% dall’1,83%, ma un altro rifugio, l’oro, ha guadagnato.
L’amministrazione di Barack Obama, impegnata a respingere gli attacchi dei candidati repubblicani alla presidenza che dipingono l’economia in condizione disastrose per colpa delle sue riforme sociali e politiche di regolamentazione, ha rivendicato il boom. «Negli ultimi due anni la ripresa ha creato il maggior numero di posti di lavoro dal biennio 1999-2000», ha scritto il capo-consigliere per l’economia, Jason Furman, sul blog della Casa Bianca. Lo stesso Obama ha ricordato che «in sei anni sono stati creati 14,3 milioni di posti di lavoro e la nostra economia è l’invidia del mondo»
Gli economisti più attenti concordano su una lettura positiva quantomeno degli ultimi dati. «I significativi incrementi nei posti di lavoro e nel tasso di partecipazione sono indicativi di un dato solido, segno di continui miglioramenti», dice Mickey Levy, chief economist per America e Asia di Berenberg Capital Markets. Levy sottolinea come sia aumentata significativamente la forza lavoro, di oltre mezzo milione di persone, risultato di una riduzione degli americani scoraggiati e che hanno cessato persino di cercare impieghi sparendo dalla statistiche. «I dati sono coerenti con una crescita economica moderata» aggiunge l’economista.
Qualche pesante invito alla cautela, però, non è mancato. La delusione più cocente è arrivata da un inatteso calo nei salari, sintomo che salutari recuperi dell’inflazione - auspicati dalla Federal Reserve - continuano a latitare e che la ripresa tradisce tuttora sintomi di fragilità e debolezza. I compensi orari sono diminuiti dello 0,1% - di 3 centesimi a 2,35 dollari - subendo il primo declino da oltre un anno. Nell’ultimo anno sono aumentati di un inadeguato 2,2%, rallentando bruscamente rispetto ai mesi scorsi e rimanendo nettamente sotto le attese degli analisti di un incremento pari al 2,5 per cento. La settimana lavorativa, inoltre, è diminuita di 0,2 ore a 34,4 ore generando ulteriori riduzioni nei compensi. Ma se le dinamiche salariali non possono essere sottovalutate, non dovrebbero neppure destare incontrollati allarmi. «È una modesta retromarcia dopo i robusti aumenti dello 0,5% nei salari registrati in gennaio», ha precisato Levy. I settori che più hanno trainato la creazione di occupazione, il mese scorso, comprendono il commercio al dettaglio, con 55.000 nuovi impieghi, i servizi sanitari con 57.400 e l’edilizia con 19.000. Il comparto manifatturiero, dopo un guadagno di 23.000 posti in gennaio, ha invece sofferto un declino, il primo da settembre, con la perdita di 16.000 addetti. Le imprese del settore restano le più esposte al rialzo del dollaro e agli affanni della domanda globale che frena le esportazioni del made in Usa.
I LISTINI Positiva ma cauta (in attesa della Fed) la reazione di Wall Street, mentre i rendimenti dei titoli di Stato decennali risalgono dall’1,8% all’1,9%