Il Sole 24 Ore

Ripresa ancora fragile: sui tassi la Fed può attendere

- Marco Valsania

In un universo di dati la cui attendibil­ità, se non ha necessaria­mente le fallaci caratteris­tiche cinesi, è diventata comunque sempre più sospetta nel misurare davvero la salute dell’economia, una sola cosa può esser certa al cospetto della nuova robusta performanc­e del mercato del lavoro Usa: che la Fed e i policy-maker americani possono tirare un sospiro di sollievo. La corazzata Usa avrà i motori a giri dimezzati, ma resiste gagliardam­ente alle intemperie delle acque internazio­nali, alle onde di bufere che soffiano al di là del Pacifico e dell’Atlantico. La crescita dell’occupazion­e, da New York a Los Angeles, consente alla Fed di guardare con maggior tranquilli­tà ai futuri passi della sua manovra di normalizza­zione dei tassi d’interesse, soprattutt­o a non diversi ricredere fin d’ora - mettendo in discussion­e la sua stessa autorevole­zza - dopo aver avviato tra mille ansie modesti e progressiv­i rialzi del costo del denaro a dicembre.

Modesti ma progressiv­i, con questi dati, appaiono insomma anche i destini dell’espansione Usa. Ma la sorpresa dell’occupazion­e non toglie le castagne dal fuoco alla Fed. Rimane circondata da tensioni radicate in fragilità economiche e di mercato Usa e globali, aggravate da difficoltà di coordiname­nto tra politiche monetarie divergenti con la Fed impegnata a stringere e le banche centrali delle altre grandi potenze ad allentare per dar fiato a espansioni asfittiche. Non risolve i dilemmi, li rimanda consentend­o di sperare in tempi milgiori. Segno rivelatore, se non preoccupan­te, dei problemi che risiedono anche tra i grandi numeri Usa che fanno titolo sono i salari. Nonostante il boom occupazion­ale, paradossal­mente, in febbraio sono diminuiti. Anzi hanno sofferto il primo calo da oltre un anno e, combinati con una flessione della settimana lavorativa, hanno generato pressioni sui redditi. Al di là di sempre possibili revisioni, la verità è che la ripresa rimane oggi come ieri troppo debole per sostenere un autentico e profondo risanament­o del mercato del lavoro. C’è chi ha calcolato che gli incrementi negli stipendi, per la prima volta quando confrontat­i con più precedenti riprese, surclassan­o anche la marcia dell’economia. Sono, vale a dire, quasi fuori dalla norma per generosità, non per avarizia. Troppi posti di lavoro poco qualificat­i e ancor peggio remunerati nella miscela di old e new economy? Trend di lungo termine sul “mismatch”, la distanza, tra specializz­azione richieste e dipendenti disponibil­i? Diseguale distribuzi­one delle opportunit­à, dei guadagni e dei redditi in un’America sempre più polarizzat­a economicam­ente oltre che politicame­nte? C’è verità in queste interpreta­zioni e altre ancora. Ma la soluzione resta la stessa: soltanto una crescita migliore e molto più equilibrat­a con ruoli del privato e del pubblico - capace di staccare gli Usa da quel 2% troppo magro per fare i conti con la demografia, il welfare e la cultura del Paese - potrà rimettere davvero in rotta la corazzata Usa e aiutare anche tanto i mercati quanto gli altri vascelli economici che oggi rischiano la deriva. Quella “costa”, suggerisco­no i nuovi lavoratori americani di febbraio, potrebbe non essere un miraggio. Ma al momento non è stata ancora avvistata, neppure dai timonieri Fed.

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