Berlusconi-Salvini, è ancora braccio di ferro sulla scelta di Bertolaso
L’ex premier esclude primarie
Silvio Berlusconi tira dritto e partono nuove scintille con Matteo Salvini. «Roma avrà un grande sindaco: si chiama e si chiamerà Bertolaso»», afferma il Cavaliere, intervenuto ieri a Roma alla convention del Ppe promossa da Antonio Tajani, presente l’ex capo della Protezione civile prima indicato come candidato unitario del centrodestra a sindaco della Capitale e poi contestato dal segretario della Lega. Il messaggio ai leghisti è netto: le primarie non si faranno, «non ci ho mai creduto».
Dopo due giorni di telefonate e mediazioni, portate avanti da Deborah Bergamini per Fi e Armando Siri per la Lega, Berlusconi è irritato. Fino all’ultimo resta sul tappeto l’ipotesi di primarie sui programmi di tre candidati - Guido Bertolaso, Irene Pivetti e Francesco Storace - da tenersi il 19 e il 20 marzo, sulle quali sarebbe d’accordo anche Giorgia Meloni di Fdi. Alla fine però il Cavaliere si impone: quei due giorni ci saranno i gazebo in piazza, come voleva Salvini. Ma soltanto per lanciare ufficialmente la candidatura di Bertolaso, «uomo del fare», e «chiamare i cittadini romani a esprimere il loro gradimento» e a «indicare gli interventi da fare nei primi cento giorni della futura amministrazione» contro il degrado della città.
La consultazione popolare chiesta dalla Lega dunque ci sarà, ma monca. Più un’incoronazione che un referendum. «Su Bertolaso siamo d’accordo», chiarisce il Cavaliere. «Ho sentito Salvini ed è tutto a posto. L’ho già convinto». Peccato che subito dopo dal Carroccio arrivi una nota gelida: «Matteo Salvini e Noi con Salvini non hanno alcun candidato fino a quando non si esprimeranno i romani ai gazebo del 19 e del 20 mar- zo. Se sceglieranno Bertolaso bene, se no seguiremo altre vie». «Bertolaso - ribadisce il segretario leghista - non è il mio candidato, a meno che non me lo impongano i cittadini ai gazebo».
La guerra di nervi nel centrodestra non impedisce a Berlusconi di guardare avanti. Alle amministrative di giugno, certo. Ma soprattutto al referendum di ottobre sulle riforme costituzionali («Voteremo no e lo vinceremo») e poi alle prossime politiche che per il Cavaliere saranno tra un anno, quando Renzi «avrà perso il referendum». «Le vinceremo con una maggioranza che ci consentirà di governare il Paese da soli», promette agli azzurri in platea. Ma la sfida, come dimostrano le tensioni delle ultime settimane, è ancora tutta interna al centrodestra. Ed è una sfida per la leadership.