Il mix fatale di recessione e corruzione
Questo Brasile scosso da una crisi politica e sfibrato da una lunga recessione economica non è più “O pais de todos” , il Paese di tutti, l’incontro e lo scontro di tutte le razze della Terra. Così lo definivano gli stessi brasiliani dopo la scoperta del 1500.
È un gigante malato, di corruzione, certo. Ma soprattutto disorientato dall’inesorabile fine di un modello economico cavalcato dall’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva e poi dall’attuale leader Dilma Rousseff. I due mandati di lui (2003-2011) sono stati rutilanti, ha ricevuto il plauso interno di un consenso che ha toccato l’80% dei brasiliani e quello esterno di un Barack Obama che ai vertici internazionali rimarcava il successo di «un Lula strepitoso». Il primo mandato di lei (2011-2014) si è chiuso in modo decoroso, poi dal gennaio 2015 a oggi il bilancio politico è punteggiato di criticità.
La crisi economica
L’economia brasiliana, per lunghi anni trainata dall’export di materie prime agricole ma anche dalle costruzioni, attraversa una pesante recessione. L’Istituto nazionale di statistica ha diramato una messe di dati poco incoraggianti: il Pil ha patito una contrazione del 3,8%, nel 2015. È il dato peggiore degli ultimi 25 anni. Nel 1990 scivolò del 4,3 per cento. Le maggiori cadute sono state registrate nei settori industriale (-6,4% dell’output) e minerario (-6,6%). Alle prese con un’inflazione al 10,7%, l’economia brasiliana ha patito in maniera palese il tonfo dei prezzi delle materie prime di cui il Paese è forte esportatore e il rallentamento della domanda cinese, così come l’instabilità valutaria e la fuga di capitali che nel corso degli ultimi due anni hanno investito varie economie emergenti.
La Banca centrale del Brasile ha lasciato invariato il tasso di riferimento Selic al 14,25 per cento. Due membri avevano votato per un aumento di 50 punti base, mentre gli altri sei membri hanno votato per mantenere il tasso al livello attuale. La politica monetaria non è dunque la leva adottata per incentivare la ripresa.
La tangentopoli verdeoro
Il ciclone di tangenti che ha investito Petrobras, il colosso energetico del Paese, ha avuto effetti dirompenti. Lava jato, autolavaggio,la chiamano così i brasiliani, è «la madre di tutte le tangenti», hanno scritto i giornali brasiliani. Sì perché una buona parte di quest’immenso fiume di denaro esondava dai canali istituzionali per lubrificare i gangli della politica nazionale, attraverso il Pt (il partito dei lavoratori) di cui Lula e Rousseff sono da sempre gli esponenti più alti.
L’emergenza corruzione ha offuscato l’immagine del Pt ma so- prattutto screditato un’intera classe politica. Oggi l’opinione pubblica è scossa e soprattutto disorientata. L’emersione di una corruzione diffusa che ha investito i vertici del Partito dei lavoratori e l’arrivo della polizia brasiliana a casa di Lula è l’ultimo atto di un’inchiesta giudiziaria molto importante. Inutile dire che la tangentopoli e la crisi economica sono intrecciate: il settore delle costruzioni e nella fattispecie quello delle grandi infrastrutture ne è rimasto pesantemente colpito.
I grandi costruttori, raggiunti da indagini implacabili, sono in galera oppure agli arresti domiciliari. Pochi mesi fa Otavio Marques, presidente della società di costruzioni Andrade Gutierrez, è stato costretto a pagare una multa di 250 milioni di euro dopo aver ammesso il pagamento di tangenti per ottenere l’assegnazione di tre megacontratti. Quelli relativi alla costruzione di tre stadi di calcio, utilizzati nei Campionati del mondo, ferrovie e raffinerie. In carcere è finito anche Marcelo Odebrecht, proprietario della maggiore impresa di costruzioni del Paese. Accuse gravissime anche per il multimiliardario Eike Batista, miseramente fallito: titolare della holding Ebx. Gilberto Freyre racconta nel libro “no Pais do futebol”, che nel calcio si accumulano antiche energie psichiche e impulsi irrazionali dell’homo brasileiro. Insomma, tutta colpa della Seleção.