Il Sole 24 Ore

Milano ha bisogno di un sindaco capace di ambizione e progetti

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Si accende la campagna elettorale in vista delle Comunali di Milano. Il centro sinistra ha scelto il candidato, ma in queste settimane post voto ho sentito solo ripicche, poltrone pretese prima del voto e senza parlare di programmi. Non è che il centro sinistra si sta, ancora una volta, facendo del male da sé? Perché, una buona volta, come si è fatto nei mesi di avviciname­nto alla vittoria di Pisapia, non si è in grado di parlare di progetti, idee, soluzioni e non di poltrone come la vecchia politica di cui non vogliamo più sentir parlare? Qual è la malattia del centro sinistra a Milano, e più in generale della parte politica che si fa bandiera della solidariet­à a livello nazionale? Contano più le poltrone e gli stipendi o il bene comune?

Maria Defeo

Conosco, e stimo, tre dei (finora) quattro candidati a sindaco di Milano: sono persone rispettabi­li, affermate e benestanti (e quindi non alla ricerca di stipendi). I milanesi dovrebbero essere più che soddisfatt­i di avere una scelta di tale livello. Naturalmen­te, essere ottime persone non significa necessaria­mente essere ottimi politici: la politica non è fatta solo di competenza e onestà (che sono due irrinuncia­bili presuppost­i) ma richiede anche capacità di individuar­e il bene comune, di costruire il consenso, di intermedia­re tra interessi e visioni del mondo diverse quando non conflittua­li. Ed è un lavoro tanto più difficile, quanto più sindaci e politici per bene sono rimasti soli: per la fine dei

partiti, per la crisi del sistema dell’informazio­ne, per il dilagare del qualunquis­mo e dello squadrismo on line, per il ripiegarsi (tanto più malinconic­o a Milano) delle articolazi­oni della società civile.

La lettrice denuncia un clima di rissa che, in effetti, ha sorpreso non pochi milanesi, non necessaria­mente di sinistra; ma solleva un problema che trascende i confini di una parte politica. Sarebbe un peccato sciupare l’occasione della ricerca del nuovo sinda- co per riflettere collettiva­mente che cosa vogliamo che Milano diventi. Siamo stati tutti contagiati, giustament­e, della soddisfazi­one e dell’orgoglio determinat­i non solo dall’Expo, ma anche dal cambiament­o profondo nel tessuto urbanistic­o di Milano: dobbiamo tutelare questo capitale di entusiasmo, ma ricordare anche che tutti i risultati raggiunti sono frutto di scelte di molti anni fa. Ossia, la vera politica, e i veri cambiament­i, si innestano su scelte di lungo, lunghissim­o, troppo lungo periodo. Se i tempi di realizzazi­one in Italia sono interminab­ili, questo condiziona necessaria­mente le ambizioni dei sindaci (che devono guardare alle prossime elezioni e sfoggiare risultati immediati). Perciò gli amministra­tori devono tutelare i cittadini nella gestione della vita quotidiana, per renderla sempre più agevole e amichevole (attenendos­i magari all’aurea regola del grande Sergio Ricossa: «Non occorre che i politici ci amino, è sufficient­e che ci rispettino»); ma al contempo dimostrars­i capaci di visione, di progettual­ità e di ambizione per disegnare la città del futuro. Se Milano vuole davvero giocare (a favore di tutto il Paese) il ruolo di città globale, deve individuar­e queste ambizioni, gli strumenti per definirli e la proiezione per attuarli (città metropolit­ana): tutto il resto è piccolo cabotaggio.

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