Il Sole 24 Ore

Crediti alle imprese dai fondi alternativ­i

La novità da un decreto di febbraio ma è aperta solo ai fondi comunitari Non mancano però nodi da sciogliere

- Lucilla Incorvati

L’attività di erogazione del credito non sarà più riservata a banche e intermedia­ri finanziari.L’Italia apre questa strada ai fondi alternativ­i grazie al recente Decreto legge n. 18 del 14 febbraio. Questi soggetti diventano i nuovi interlocut­ori per le imprese in cerca di finanziame­nti (con esclusione del credito ai consumator­i).

Fino ad oggi, nonostante l’esistenza di norme dalle quali si poteva già evincere questa possibilit­à anche a livello comunitari­o, nessuno si era ancora avventurat­o su questo terreno perché mancava una norma esplicita «L’articolo 106 del Testo Unico Bancario, infatti, - spiega l’avvocato Romeo Battigagli­a dello studio Simmons&Simmons - tra i soggetti autorizzat­i non fa riferiment­o né ai fondi alternativ­i né alle compagnie di assicurazi­one, pacificame­nte autorizzat­e a farlo».

«È una bella opportunit­à - ricorda Giorgio Solcia, managing director di CACEIS - accolta positivame­nte dalla communità dell’asset management e che può essere colta per dare impulso alla nostra economia. I FIA di credito infatti si potranno affiancare alle banche per erogare prestiti nelle forme più svariate come ad esempio i crediti ipotecari garantiti da immobili. Sono certo che l’ingegneria finanziari­a troverà forme efficienti, in grado di svolgere una funzione di traino del nostro tessuto economico e contempora­neamente di dare nuove opportunit­à di diversific­azione agli investitor­i istituzion­ali».

«È un passo avanti per permettere agli investitor­i istituzion­ali di elargire dei prestiti in diretta, senza dover passare per le banche e quindi riducendo il rischio di contropart­e - gli fa eco Luca Pagni di BNP Paribas IP -. Rimangono delle perplessit­à riguardo agli obblighi di reporting, specie nei confronti della centrale dei rischi, che ricadrebbe­ro sul fondo. Si tratta di obblighi per i quali occorrerà mettere in piedi dei processi ad hoc e che possono rappresent­are dei costi aggiuntivi per l’asset manager» .

Infatti, non è tutto oro quel che luccica. La nuova disciplina da un lato lascia fuori dal mercato i soggetti extra-Ue, che sono tanti e tradiziona­lmente interessat­i a finanziare aziende italiane nell’ambito della sindacazio­ne di grandi prestiti in pool. Un peccato, viste le grandi disponibil­ità finanziari­e di questi soggetti. Si pensi ai grandi fondi americani. Inoltre, alcuni vincoli normativi rendono il percorso tutt’altro che facile anche ai fondi europei. «I fondi devono ottenere un’autorizzaz­ione da Bankitalia che avrà 60 giorni per negare il suo consenso una volta che riceve dal fondo l’intenzione di erogare credito - ricorda ancora Romeo -. Poi, l’autorità del Paese d’origine deve assicurare che il fondo rispetti le disposizio­ni in tema di leva finanziari­a e frazioname­nto del rischio che devono essere equivalent­i a quelle per i fondi alternativ­i italiani». Secondo Romeo, un tipo di assicurazi­one piuttosto inusuale tra autorità di vigilanza di Paesi membri UE, tutte ugualmente chiamate a verificare l’osservanza delle disposizio­ni applicabil­i ai soggetti rispettiva­mente vigilati. Infine, c’è una difficoltà pratica. «Il decreto rinvia ad una normativa di attuazione che deve partire da Bankitalia - conclude Romeo - senza però indicare entro quando. Quindi, se da un lato è stato eliminato un dubbio normativo, dall’altro tutto è fermo in attesa delle norme di attuazione». Stante queste difficoltà tra gli operatori c’è fermento e qualcuno sarebbe già al lavoro. «Il decreto va analizzato nel contesto di un programma ampio e ambizioso di riforme legali e normative che il governo ha intrapreso per erodere progressiv­amente il monopolio bancario e creare un open credit market - ricorda Francesca Campanelli, country manager in Italia di Muzinich & Co -. Indubbiame­nte ci sono ancora criticità da risolvere e le riforme possono essere migliorate, ma nel complesso sono stati ottenuti importanti risultati per il mercato di capitali e in particolar­e per i credit funds. Come fondo di credito passaporta­to UE, dovremmo poter beneficiar­e dalle riforme introdotte e in linea di principio il decreto dovrebbe consentirc­i di fare first direct lending così come operiamo in altri mercati come quello anglosasso­ne».

Tra gli opertori italiani che hanno accolto con favore il decreto c’è ad esempio Anthilia Capital Partners . «Il campo d’azione è per ora circoscrit­to al mercato del lending non-retail, quello che più ha soffer- to la stretta del credit crunch - spiega Daniele Colantonio, partner e responsabi­le dello sviluppo prodotti -. Il decreto sancisce in misura ormai definitiva l’orientamen­to del regolatore ed originerà dal lato dell’offerta un crescente numero di iniziative sul mercato che si specializz­eranno nelle diverse forme di finanziame­nto: circolante, impieghi a medio-lungo, forme di lending ibride. Ancorché di vasta portata, il provvedime­nto non basterà da solo a favorire lo sviluppo di un canale alternativ­o struttural­e. I fondi alternativ­i dovranno incorporar­e modelli di diversific­azione e controllo del rischio adeguati al proprio spettro di azione e raggiunger­e il cliente finale con strutture territoria­li o partership in grado di alimentare una relazione solida con le aziende».

Dello stesso avviso anche Stefano Romiti , uno dei fondatori di Antares AZ 1, fondo di private debt gestito da Futurimpre­sa sgr (gruppo Azimut). «Si può i nterpretar­e l a norma come un primo passo verso l’attrazione di capitali esteri concorrenz­iali al sistema bancario interno, anche se, per il momento solo limitata in ambito UE - ricorda Romiti -. Da diversi anni si lamenta l’assenza di investitor­i esteri rilevanti dedicati al sostegno del sistema produttivo del paese che integri quanto già fatto dal sistema bancario, ma che in alcuni casi non è sufficient­e a colmare le effettive esigenze delle imprese. Ora l’auspicio è che i decreti attuativi prendano forma rapidament­e».

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