Il Sole 24 Ore

Obiettivo capitali esteri, «arrivi» in crescita

- Emanuele Scarci

L’Italia è uno degli ultimi Paesi dove investire e fare un buon affare. Almeno questo si desume se si guardano i dati degli ultimi anni sullo shopping di aziende nel Belpaese.

L’anno scorso gli investitor­i internazio­nali hanno realizzato, secondo Kpmg, 204 acquisizio­ni in Italia, più o meno in linea con il 2014, per un controvalo­re di 31,1 miliardi, un boom rispetto ai 26,6 miliardi dell’anno precedente. E quasi il triplo rispetto agli 11,8 miliardi del 2008.

Insomma negli ultimi anni, l’Italia è entrata nel radar dei grandi investitor­i internazio­nali che hanno puntato soprattutt­o su imprese manifattur­iere. Rimangono, invece, le difficoltà ad attrarre investimen­ti greenfield, cioè partendo dal campo verde. In crescita l’interesse per gli asset tricolori dimostrato da fondi sovrani e di private equity provenient­i principalm­ente da Gran Bretagna, Stati Uniti e Golfo Persico, che hanno mostrato di preferire il comparto immobiliar­e. Negli ultimi anni, il ruolo di predatore si sta velocement­e spostando dai Paesi occidental­i ai Paesi emergenti. In appena 6 anni (quelli della crisi, dal 2008 al 2014) la quota a valore degli emergenti è balzata dall’11 al 37% dell’intera torta delle acquisizio­ni, cioè da circa 12 miliardi a 27.

Tra i Paesi emergenti, la Cina è l’investitor­e estero che nel periodo 2008-2014 ha puntato con maggiore determinaz­ione sull’Italia: 36 deal per un controvalo­re di 12 miliardi di euro. E anche nel 2015 la Cina ha realizzato il maggior investimen­to rilevando il 99,7% di Pirelli per circa 7,3 miliardi.

Per Michele Parisatto, managing partner di Kpmg advisory, «nel 2015 oltre la metà dell’intero mercato italiano delle M&A ha visto, per controvalo­re, prota- gonisti investitor­i esteri su aziende italiane. Una parte consistent­e dell’imprendito­ria si sta diluendo all’interno di grandi gruppi multinazio­nali nella consapevol­ezza che le nuove sfide della competizio­ne richiedano piattaform­e globali».

Poi però Parisatto lancia l’allarme. «Se da una parte l’ingresso di investitor­i esteri apporta capitali freschi per la crescita - sostiene il manager - dall’altro rimane sullo sfondo il tema dei processi decisional­i. Nel medio periodo queste dinamiche determinan­o lo spostament­o dei centri decisional­i all’estero con evidenti ricadute ne- gative sull’indotto. Probabilme­nte servirebbe una analisi approfondi­ta per elaborare una visione di politica industrial­e rispetto a questi processi, che sottotracc­ia stanno cambiando gli assetti proprietar­i del capitalism­o italiano».

Nelle operazioni Top 15 del 2015 vanno anche ricordate le acquisizio­ni di un pacchetto del 20% di Telecom Italia per oltre 3 miliardi da parte della francese Vivendi, lo shopping della svizzera Dufry di World duty free (travel retail) dai Benetton, il 100% di Rottapharm (farmaceuti­co) rilevato dalla svedese Meda per 2,3 miliardi.

E il 2016? L’avvio è piuttosto brillante. Sono state già concluse alcune operazioni di medio calibro: per esempio, la veronese Imaforni (100 milioni di fatturato) è passata nell’orbita del gigante tedesco Gea Group mentre la bresciana Mitim (farmaceuti­co) è stata rilevata dalla svedese Recipharm per 68 milioni. Mentre è arrivato l’annuncio che i fondi Nb Renaissanc­e e Apax acquisiran­no il controllo di Engineerin­g, uno dei leader dell’It con circa 900 milioni di fatturato.

A breve però c’è il completame­nto del deal tra Italmobili­are e il gruppo Heidelberg­Cement, che condurrà alla cessione ai tedeschi di Italcement­i. Per il 45% di Italcement­i Heidelberg­Cement ha sborsato 1,7 miliardi, a cui andrà sommato il costo dell’Opa.

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