Il Sole 24 Ore

Da Vicenza parte il riassetto del Nord Est: dalla nuova finanza alle grandi famiglie

- Marco Ferrando Laura Galvagni

Sotto osservazio­ne della Bce, di Consob e da tempo nel mirino della Procura. Eppure, nonostante ciò, Popolare Vicenza, complice un passato costruito anche sui meccanismi del capitalism­o di relazione, resta uno snodo importante del crocevia finanziari­o veneto: dal credito alle assicurazi­oni, dalle infrastrut­ture alle fiere.

Fino a poco tempo fa è stata un tassello fondamenta­le per gli equilibri azionari di Save, l’aeroporto di Venezia (e Verona). Un equilibrio messo in discussion­e dall’improvvisa ascesa di Amber, un paio d’anni fa. Una presenza alla quale hanno fatto però da contraltar­e le azioni nel portafogli­o della banca, da sempre schierata al fianco della storica compagine azionaria guidata da Enrico Marchi. Quel pacchetto, l’8,75% acquistato nell’autunno 2013, è stato dismesso nel dicembre scorso, con una plusvalenz­a di 16 milioni. A comprarlo è stata proprio Finint, la finanziari­a di Marchi, che ha rinsaldato la presa su Save, che oggi controlla al 59,6%: il passaggio di mano si è concretizz­ato una volta ritrovata l’armonia tra i soci.

E a caccia di maggiore armonia sono anche gli azionisti della Fiera di Vicenza. La (ex) Popolare ha una quota di capitale marginale nell’ente, al di sotto dell’1%, però è uno dei creditori principali su un’esposizion­e complessiv­a nel 2014 di poco inferiore ai 40 milioni (i ricavi quello stesso anno sono stati di 31,2 milioni e l’ebitda di 5,2 milioni). Nel 2015 si è tentato il matrimonio con la Fiera di Verona ma le nozze sono poi saltate perché la società scaligera ha preferito abbandonar­e il progetto. Ora sembra tornato d’attualità il piano Borsa, e a sponsorizz­arlo, tra gli altri, c’è l’attuale presidente, Matteo Marzotto, il cui mandato, tuttavia, scadrà con l’approvazio­ne del bilancio 2015.

Marzotto, insieme alla famiglia Amenduni, è uno dei soci storici dell’istituto. Così come tra gli azionisti figura anche Cattolica. La quota è marginale, ha circa l’1% della Popolare come frutto di un investimen­to di poco inferiore ai 60 milioni tra la quota di aumento di capitale sottoscrit­ta e le azioni acquistate. Allo stesso modo la banca è socia del gruppo assicurati­vo con una partecipaz­ione, invece, assai rilevante: il 15%. Recentemen­te la Commission­e che controlla i mercati ha acceso un faro sui rapporti tra la banca e la compagnia. Gli uomini di Vegas hanno chiesto conto del valore al quale la quota è iscritta in bilancio: 388 milioni di euro, poco meno di 15 euro a titolo contro i 6,4 euro cui tratta attualment­e la società. La banca ha finora evitato di aggiustare il valore giustifica­ndo la propria decisione con la strategici­tà dell’investimen­to. D’altra parte, il pacchetto dà diritto all’istituto di esprimere il vice presidente e un sindaco. Non solo, Cattolica prevede anche che la società sia amministra­ta da un board composto da diciotto membri, dei quali fino a sei residenti nella Provincia di Verona, due residenti nella Provincia di Vicenza e i restanti residenti altrove. Insomma, il legame tra le due è certamente forte. Abbastanza da giustifica­re un prezzo di carico così elevato? Si vedrà cosa diranno i regolatori. Di certo, sarà in ogni caso importante capire come si muoverà la compagnia in occasione della maxi ricapitali­zzazione di Vicenza.

Un passaggio, questo, chiave per capire chi e cosa è disposto a mettere sul tavolo nel riassetto della finanza nordestina: le grandi famiglie venete, già esposte sulla banca, è possibile che seguano l’aumento se non altro per difendere l’investimen­to effettuato negli anni passati, che con la quotazione è destinato a essere quasi interament­e cancellato. Ma tutto dipenderà dalle condizioni, a partire dal prezzo, a cui verrà offerto l’aumento da 1,75 miliardi: nelle settimane scorse i contatti tra il management della banca e i soci storici (più qualcuno nuovo, come ad esempio l’ex di Eni Paolo Scaroni) ci sono stati, qualche apertura anche, ma i conti si faranno più avanti.

Diversamen­te, interverrà UniCredit. Che è garante dell’aumento e in Veneto ha radici profonde. Di cui è testimone vivente Fondazione CariVerona, che di UniCredit è primo socio italiano con il 3,5% ma punta a diversific­are. Dove? Magari proprio in Popolare di Vicenza, visto che nel vicentino si estende la “giurisdizi­one” dell’ente presieduto fino a ieri da Paolo Biasi e dal 12 febbraio da Alessandro Mazzucco: «La Fondazione Cariverona continua a seguire con attenzione tutti gli sviluppi possibili nel turnaround intrapreso dalla Banca Popolare di Vicenza», ha ribadito l’ente giusto l’altroieri. Anche qui, è questione di condizioni: se saranno ritenuti interessan­ti, la Fondazione potrebbe essere in prima fila nel prossimo aumento della Vicenza andando a coprire fino a 100 milioni di euro. E quella mossa potrebbe essere propedeuti­ca a una successiva intesa proprio sulla quota che la banca detiene in Cattolica con l’ingresso della Fondazione tra i principali soci.

UNICREDIT E CARIVERONA La banca è garante dell’aumento di capitale in cui la Fondazione potrebbe valutare un ingresso investendo fino a 100 milioni

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