La parità di genere cerca spazio anche nello sport
Osservatorio Fondazione Bruno Visentini - Ceradi A cura di Valeria Panzironi
La parità di genere ha un valore economico e sociale che incide sul benessere collettivo. Non stupiscono dunque le recenti iniziative europee e internazionali che, con la proposta di direttiva Women on boards e le ancora più recenti linee guida Ocse in tema di corporate governance, riconoscono nella diversity (di genere, formazione, età, professione) un “mezzo” al “fine” di migliorare la composizione degli organi di governo societario e favorire i processi decisionali. Né è un caso che gli Stati membri in generale e l’Italia in particolare si stiano attrezzando per stimolare la cultura della parità nelle imprese, nelle professioni in genere e da ultimo anche nello sport (a questo tema è dedicato un convegno organizzato dalla Fondazione Bruno Visentini insieme al Coni e con il patrocinio della presidenza del Consiglio dei ministri che si svolgerà il 9 marzo a Roma, «Uomini e donne insieme più forti. Competenza e rappresentanza della donna nel mondo dello sport, delle imprese e delle professioni», www.fondazionebrunovisentini.eu).
Certo, non è tutt’oro quel che luccica e la parità di genere è ancora lontana. Il persistente divario di genere nell’occupazione, nei salari e nelle carriere professionali che si registra oggi in Italia è comune infatti anche al mondo dello sport che da questo punto di vista non fa eccezione. Se infatti è vero che oggi le donne stanno venendo alla ribalta nella pratica dello sport e nelle gare, la loro presenza è ancora trascurabile nei ruoli chiave degli organi di governo dello sport, del Coni, delle federazioni e di tutte le organizzazioni del settore.
I numeri mostrano un movimento sportivo poco declinato al femminile. Nella Giunta nazionale Coni su 16 membri solo tre sono donne, nel Consiglio nazionale Coni siedono solo quattro donne su 78 componenti, tutti i Comitati regionali Coni sono presieduti da uomini. La situazione non è migliore nell’ambito delle Federazioni e delle altre istituzioni sportive, considerato che tutte le Federazioni sportive nazionali, tutte le discipline sportive associate e tutti gli enti di promozione sportiva sono presieduti da uomini. E la situazione non migliora a livello di associazioni e società sporti- ve, dove le donne, salvo rari casi, non figurano mai ai vertici delle organizzazioni.
Come stimolare un’inversione di tendenza anche ai vertici del mondo sportivo? Innanzitutto, si può prendere spunto dai modelli e dalle esperienze maturate in altri settori perché è di tutta evidenza che, fatte salve le peculiarità di ciascuna professione, i problemi e gli ostacoli che oggi le donne devono affrontare e superare nel mondo del lavoro sono comuni e possono essere affrontati e risolti adottando strategie comuni.
Per assumerne un’ottica di sistema e porsi degli obiettivi di medio-lungo periodo, l’Italia, ad esempio, in materia di vertici societari, ha seguito un modello rigido temporaneo (imposto con la legge 120/2011) che ha consentito il rinnovamento della governance delle società pubbliche, partecipate dallo Stato e delle società quotate. A fine giugno 2015, il 27,6% dei posti di consigliere delle società quotate era ricoperto da donne (mentre nel 2008 la percentuale era ferma al 3%, Rapporto Consob 2015).
L’imposizione di quote per legge ha poi innescato un virtuoso effetto domino, che ha portato, sul fronte istituzionale, all’aumento del numero di donne nel Governo, nel Parlamento italiano ed europeo, nella Corte costituzionale, nel Csm, nelle Authorities, negli Ordini professionali e persino in alcune tipologie di Consorzi obbligatori e, sul fronte privatistico, nelle imprese più virtuose, all’adozione di sistemi di autoregolazione e di auto disciplina, con l’adozione di buone pratiche dirette a favorire l’accesso delle donne alle posizioni apicali e ad accompagnarne il loro percorso nella crescita aziendale.
La messa in campo di tali pratiche ha prodotto ottimi risultati e reso evidente che si possono fare ulteriori sforzi in termini di organizzazione del lavoro, adottando politiche che siano family friendly, che investano nel career development anche al femminile, che valorizzino le differenze e le integrino sistematicamente nella organizzazione.
La strada vincente insomma è quella che ricorre a tecniche combinate e integrate ( botton-up e up-side down) per consolidare la cultura della competenza e del merito e in ultima analisi affermare la gender par condicio, nella consapevolezza che la diversità è un valore e un’opportunità cui oggi non si può rinunciare.