Il Sole 24 Ore

Il cielo fuori dalla Stanza

- di Roberto Escobar

Venire al mondo, si dice pensando alla nascita. Ed è come se il mondo fosse lì ad aspettarci, e a noi bastasse varcarne la soglia. Succede invece che, quando si viene al mondo, il mondo ancora non esista – che non esista il mondo per noi, il mondo nostro –, e che ci serva qualcuno che ci porti al mondo, aiutandoci nel mestiere difficile di costruirlo, parola dopo parola, significat­o dopo significat­o. Attorno a questa suggestion­e si sviluppa Room (Irlanda e Canada, 2015, 118’).

È un thriller e insieme è più di un thriller, il film che Lenny Abrahamson e la sceneggiat­rice Emma Donoghue hanno tratto da un racconto ispirato alla stessa Donoghue da un fatto tragico. Nel 2008, questo è il fatto, Elisabeth Fritzl viene trovata dalla polizia di una città austriaca nella cantina in cui il padre la tiene rinchiusa da ventiquatt­ro anni. Con lei ci sono quattro dei sette figli avuti a seguito degli stupri subiti (il padre è riuscito ad adottare gli altri, portandoli a vivere con lui e con la moglie). In Room la cantina diventa un capanno, gli anni di prigionia scendono a sette, e invece del padre incestuoso c’è “solo” un violentato­re, detto Old Nick (Sean Bridgers). Quanto alla vittima, la conosciamo come Ma’ (Brie Larson). Così la chiama il piccolo Jack (Jacob Tremblay). Da quando è nato, cinque anni fa, Jack non ha visto altro che l’angustia della sua prigione. A illuminarl­a c’è un lucernario alto e irraggiung­ibile, unica misura del passaggio dei giorni e delle notti. Jack lo chiama Lucernario, così come Stanza è l’interno del capanno. Per lui, l’uno e l’altro non sono semplici oggetti, ma quasi persone, coprotagon­isti della sua breve storia di vita, come Tavolo, Sedia, Armadio…

È questo il mondo di Jack. I suoi confini danno sul niente. Niente infatti il bambino ha mai visto al di là dei quattro muri scrostati, a parte lo scorcio di cielo che occhieggia da Lucernario, e a parte la misteriosa realtà a due dimensioni che si muove sullo schermo televisivo. Eppure, Jack ha davvero un mondo. Nel “microtutto” che lo avvolge e chiude, ha imparato a conoscersi, e a riconoscer­si. Ci è riuscito, in quella prigione senza specchi, rispecchia­ndosi nell’amore e nell’intelligen­za di Ma’. È lei che lo ha portato al mondo, prima nella sua carne e poi insegnando­gli a giocare con parole e significat­i, perché se ne facesse padrone. Più della violenza di Old Nick, più della sua feroce anestesia emotiva, al centro dell’attenzione di Abrahamson e Donoghue ci sono il coraggio, la cura e la tenerezza di Ma’. Questo fa del loro film ben più di un thriller.

Poi, a metà racconto – con uno stratagemm­a rischioso, ottimament­e girato e montato – Jack e Ma’ fuggono dalla loro prigione. Ora sono liberi. Meglio, ora devono imparare a essere liberi nella vastità di un mondo che non è mai stato del figlio, e che da troppo tempo non è più della madre. Jack ha ancora bisogno di aiuto. Gli servono altre parole, altri significat­i, altri giochi. Impaurito da un fuori inatteso e sorprenden­te, di nuovo gli tocca imparare a conoscersi e a riconoscer­si. Ma non è sua la paura maggiore. Alla fine, per lui non si tratta che di rielaborar­e il “macrotutto” sconfinato della sua nuova condizione facendosi forte di quanto la madre gli ha insegnato nel chiuso di Stanza.

È Ma’ che ha più paura, invece. Il suo coraggio si è consumato, come la sua cura e la sua tenerezza. Queste e quello si sono persi nel vuoto di una libertà senza limiti, presto trasformat­a in angoscia. Sette anni fa la sua storia di vita si è spezzata, non solo interrotta. Insieme si è spezzato il suo mondo, diventato buio e angusto come la prigione di Old Nick. Certo, fra quei muri scrostati ha dato la vita al figlio non una, ma due volte. E si direbbe proprio questo il motivo per cui ora, doppiament­e sgravata, si sente doppiament­e svuotata. Potrà mai vincere la paura, tornando a conoscersi e a riconoscer­si? La risposta è affidata al piccolo Jack, alla sua luminosa capacità di prendere la madre per mano, e riportarla al mondo. %%%%%

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PHOTOMOVIE « room » di lenny abrahams | Brie Larson (’Ma) e Jacob Tremblay (Jack)

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