Il Sole 24 Ore

Germogli di fiducia e occasioni da cogliere

- Di Fabrizio Galimberti

«A n no bisesto, anno funesto », dice il proverbio. Ma,m acroeconom­ica mente parlando, l’anno bisesto è una manna dal cielo. Un giorno in più vale circa lo 0,3% del Pil, se tutto va bene. Certamente, coloro che percepisco­no uno stipendio mensile ricevono gli stessi soldi di prima, anche se lavorano un giorno in più (ma coloro che sono pagati a ore lavorano di più e ricevono di più). Nella danza fra domanda e offerta non è chiaro quanta domanda viene creata dall’offerta addizional­e, ma l’effetto netto è sicurament­e positivo.

Comunque, «anno bisesto, effetto modesto». Ma, se passiamo dalle spinte meccaniche che vengono dal giorno in più alle spinte “vere” che possono venire da un ritorno della fiducia, il discorso si fa più promettent­e. Passiamo in rassegna quanto è cambiato nell’economia italiana da due anni a questa parte (il governo Renzi è iniziato nel febbraio 2014). Il Pil ha ricomincia­to a crescere nell’anno appena trascorso, e se il 2016 terrà fede alle unanimi previsioni interne e internazio­nali, avremo due anni con il segno “più”, cosa che non succedeva da tempo. La fiducia delle famiglie, al febbraio 2014, segnava, nell’indice Istat, 94,8, e oggi è a 116,8; la fiducia delle imprese (manifattur­iere, costruzion­i e servizi) è passata da 95,8 a 103,1. Il tasso di disoccupaz­ione è sceso dal 12,8% della forza- lavoro all’ 11,5%; quello giovanile dal 42,9 al 39,3 per cento. L’occupazion­e è salita di 476mila unità.

A questo coro di buone notizie non si accodano le vendite al dettaglio: queste sono rimaste praticamen­te ferme, sia in valore che in volume. Ma bisogna tener presente che i dati Istat sulle vendite al dettaglio non riguardano né le auto né i servizi. Inoltre, dato che il campioname­nto riguarda solo i negozi o i grandi magazzini con sede fissa, non viene catturato il ricorso crescente alle vendite online. Se sta cambiando l’umore dei consumator­i, sulla scorta dei dati menzionati prima, dovremmo scorgere questo cambiament­o nell’acquisto dei beni durevoli.

La decisione di acquistare un’auto risente molto della fiducia: l’impegno finanziari­o è notevole e la famiglia se lo addossa solo se ha ragionevol­i prospettiv­e di reddito e di sicurezza del posto di lavoro. Ebbene, sappiamo che dallo scorso giugno a oggi il tasso annuo di aumento delle vendite di auto si è attestato sulle due cifre, e a febbraio siamo addirittur­a al + 27,3 per cento. Questa vivacità si ritrova anche nelle statistich­e sui crediti al consumo, che riguardano non solo gli acquisti di auto, ma tutte le vendite a rate in genere, oltre ai prestiti personali. Ebbene, anche qui dalla metà dell’anno scorso l’aumento sull’anno si è fatto a due cifre e il dato di gennaio (fonte Bce) dà un incremento del 15,4 per cento. Anche per quanto riguarda l’altro grande “acquisto” delle famiglie – la casa – si notano segni di risveglio, sia nelle compravend­ite immobiliar­i che nell’erogazione dei mutui. Dopo un lungo periodo di “segni meno”, a gennaio queste erogazioni sono salite, sia pure di poco (+0,5%, che comunque è rilevante, dato che i prezzi delle case sono scesi rispetto a un anno fa). Il ricorso al credito è anche aiutato dal fatto che i tassi, sia per il credito al consumo che per i mutui, sono diminuiti nettamente rispetto a due anni fa.

Il passato ci ha spesso riservato sgradevoli sorprese. Le luci in fondo al tunnel si sono presto spente e i primi timidi segnali di ripresa della domanda si sono rivelati effimeri. Sarà così anche questa volta, tenendo presente che fuori d’Italia si addensano molte incognite, sia geopolitic­he (crisi dei profughi, polveriera mediorient­ale) che economiche (rallentame­nto cinese)? Vi sono motivi di ritenere che questa volta le tendenze positive siano più solide. La politica monetaria sta dando una mano, con l’espansione quantitati­va della moneta (che potrebbe accelerare) e, soprattutt­o, con una politica di bilancio che ha abbandonat­o i paraocchi dell’austerità e si è fatta, per il 2016, espansiva, grazie alla meritoria ricerca di tutti gli spazi di flessibili­tà: il saldo struttural­e del conto della Pa peggiora di qualche decimo di punto, talché anche il bilancio pubblico dà una mano alla domanda.

La variabile cruciale sta nei consumi privati; non solo e non tanto perché sono la componente principale del Pil, quanto perché le imprese guardano a questa variabile nel formare i piani di investimen­to. Gli investimen­ti – e non solo in Italia – sono stati i grandi assenti in queste “prove di ripresa”, che hanno steccato spesso e volentieri.

In effetti, ci si chiede perché gli investimen­ti siano così deboli, dato che il rendimento del capitale è certamente superiore al costo del capitale, che non è mai stato così basso. La ragione sta nel fatto che non basta un basso costo del capitale per convincere le imprese a investire: ci vuole anche la certezza che quel che si produce sarà comprato, che la domanda sarà lì ad accogliere i beni e i servizi che escono dai cancelli, veri o virtuali, delle imprese. In questo contesto, una ripresa dei consumi darebbe un segnale forte anche per gli investimen­ti.

C’è, infine, un’altra possibilit­à: i Governi possono oggi prendere soldi a prestito a tassi vicini a zero, se non addirittur­a negativi. E non hanno bisogno, per investire, di aspettare, come fanno le imprese private, la domanda. La possono creare loro, con un programma di infrastrut­ture di cui c’è una gran fame, in Italia e nel mondo.

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