Un compito che diventa sempre più difficile
Non basta mai. O così sembra.Il destino della Banca centrale europea sembra essere quello di essere superata dagli eventi: a dicembre aveva rivisto la sua politica, tagliando i tassi e prolungando gli acquisti di titoli, ma non è stato sufficiente. Solo sei settimane dopo, a gennaio, ha dovuto preannunciare una possibile revisione delle proprie scelte a marzo. Giovedì prossimo un nuovo passo sembra necessario, e ci si attende almeno un ulteriore taglio dei tassi sui depositi alla Bce, già oggi al -0,30%.
Il motivo è che l’inflazione non sembra voler risalire: i prezzi di febbraio sono calati dello 0,2% annuo e non solo a causa della flessione del petrolio. Hanno rallentato - anche se hanno continuato a crescere - anche i prezzi dei beni industriali, che finora avevano lentamente accelerato ma devono tener conto della concorrenza internazionale: da novembre il cambio effettivo dell’euro - calcoalto verso le principali valute - deludendo ogni speranza di un suo indebolimento ha ripreso a salire. L’effetto è una pressione al rialzo dei prezzi all’importazione. Le aspettative di inflazione - ben più importanti dell’inflazione effettiva, e passata - sono inoltre calate e ormai sono ai minimi storici: l’obiettivo di inflazione “vicino ma sotto al 2%” appare lontano nel tempo.
Per la Bce tutto ora diventa più difficile. È da molto tempo che sta lottando contro la bassa inflazione e ormai occorrono sempre più dosi di “medicinale” per ottenere risultati. Molte occasioni sono state inoltre perdute nella gestione delle aspettative. Quando nel 2012 il presidente Mario Draghi annunciò che avrebbe fatto di tutto per salvare l’euro, riuscì a ridurre la frammentazione finanziaria di Eurolandia praticamente con le sole parole: la base monetaria, la moneta offerta dalla Bce, in realtà calò rapidamente del 33% invece di aumentare come avrebbe dovuto, in una fase espansiva, e solo a gennaio ha superato il massimo del 2011. Da allora troppe aspettative sono state deluse - l’ultima volta proprio a dicembre - perché la Bce si è rivelata poco determinata anche per difficoltà interne: l’opposizione della Bundesbank a politiche ultraespansive.
Ora il suo compito è arduo. Il rallentamento dei prezzi segnala un eccesso della domanda di moneta - da parte di famiglie, imprese e governi, anche solo per ripagare debiti - rispetto all’offerta, che viene generata (soprattutto) dalle banche su spinta della politica monetaria. L’enorme quantità di debiti accumulati - si pensi ai debiti pubblici, ma anche alle sofferenze bancarie - fa sì che la domanda di denaro sia veramente altissima, difficile da soddisfare. Soprattutto quando i cattivi bilanci delle banche impediscono di fornire troppo nuovo credito.
La frenata dei prezzi può però anche segnalare - e questa ipotesi comincia a essere presa in considerazione - un eccesso di offerta (globale) di beni e servizi, dopo i tanti investimenti negli Emergenti, rispetto a una domanda non certo alimentata dal mercato del lavoro, piuttosto depresso. Contro questo problema, il compito della Bce diventa molto più difficile, e i risultati più elusivi.