Una cura per la disoccupazione strutturale
Il taglio del cuneo fiscale è la strada maestra per l’inserimento dei giovani
Speriamo che questa volta la rondine faccia primavera e che il saldo occupazionale positivo registrato tra gennaio 2015 e gennaio 2016 – quasi 300.000 unità in più - trovi conferma nel prossimo biennio.
Perché c’è ancora tanto da recuperare. Soprattutto tra i “giovani adulti” trentenni, che sono cresciuti in un mercato del lavoro tartassato dalla crisi economica e che hanno ancora difficoltà a sottrarsi dalla palude di un’elevata disoccupazione giovanile che stona con il calo dell’incidenza dei giovani sulla popolazione.
Difficoltà e paradossi del nostro mercato del lavoro dipendono da qualcosa di più profondo che intrappola una crescita più lesta e marcata dell’occupazione in Italia: si tratta di fenomeni di lungo periodo, ai quali è necessario porre attenzione. Gran parte della disoccupazione di cui soffriamo non è ciclica e i livelli di disoccupazione pre-crisi non sono riacciuffabili con la contenuta crescita economica prevista.
In questa lenta uscita dalla crisi, la nostra disoccupazione sta assumendo un carattere strutturale e ci sono due tendenze che la rendono tale: l’invecchiamento della popolazione e il technological change. Tutti tifiamo per una maggiore longevità e per il progresso scientifico-tecnologico. Vivere più a lungo è un traguardo del benessere e la tecnologia è un potente motore di prosperità che sta creando in tutto il mondo sviluppato valore aggiunto per la crescita economica.
Queste due tendenze portano con sé anche conseguenze ispide da governare. Se ne erano “pre-occupati” già Malthus e Ricardo. La longevità accompagnata dalla denatalità ingenera squilibri tra le forze lavoro disponibili (in diminuzione) e le non forze di lavoro (in aumento). Se non “governata”, può inoltre creare un effetto barriera generazionale nel mercato del lavoro, come in Italia, a dispetto di un tasso di ricambio tra giovani e 6064enni in picchiata da due decenni (nel 2030 scenderà al 60%).
L’invecchiamento attiva meccanismi di esclusione tra insider più anziani (preoccupati delle loro retribuzioni e pensioni) a discapito di outsider giovani (in difficoltà a trovare un lavoro): una segmentazione che non si presta a facili soluzioni. Ad esempio, l’Ocse sostiene da tempo che anticipare le uscite per favorire il lavoro giovani non funziona poi- ché il turn over è tutt’altro che scontato.
Quanto al cambiamento tecnologico, esiste ormai un’abbondante letteratura che evidenzia che oltre a tanti benefici, esso ha contribuito alla crescita delle disuguaglianze e alla scomparsa di milioni di lavori routinari in tutto il Primo Mondo. C’è il suo “zampino” sulla stessa crisi dei ceti medi e, nel prossimo decennio, robot e intelligenza artificiale insidieranno anche il lavoro cognitivo e professionale (M. Ford 2015).
C’è il rischio che nel XXI secolo il lavoro rimanga “indietro”, soprattutto tra i giovani, e che l’economia globale rischi una sorta di stagnazione prolungata o di lenta crescita.
Non c’è peggior cosa che ritenere che non possiamo fare nulla per contrastare queste impervie tendenze di lungo periodo. Al contrario, rappresentano grandi sfide per migliorare l’economia e la qualità del capitale umano, come anche la superclass globale ha sottolineato a Davos.
Nessuno ha la bacchetta magica, ma tra le politiche che possono agire sull’offerta di lavoro, una sostanziosa riduzione del cuneo fiscale, come ha osservato anche il sottosegretario Tommaso Nannicini, è la strada maestra per rilanciare occupazione e valore del lavoro.
Coinvolgendo milioni di lavoratori, consentirebbe un recupero di fiducia, di cui oggi siamo “a corto”, e costituirebbe uno stimolo alla crescita del mercato interno, cruciale in questa fase di rallenta- mento dei Brics: rappresenta un mix “equilibrato” tra sostegno alle retribuzioni nette e occupazione aggiuntiva (se il costo lordo del lavoro diminuisce). In Gran Bretagna ha funzionato: dal 2007 al 2014, i tax wedges sono diminuiti di nove punti e la disoccupazione è tornata al 5,4% (Oxford Martin School 2015). Inoltre, quando sono in corso trasformazioni rilevanti come quelle descritte che causano un matching difficile tra domanda e offerta di lavoro, è essenziale uno sforzo a favore di politiche attive del lavoro (reti di servizi di job placement e formazione), per le quali l’Italia, nel periodo di crisi, ha speso la metà che Germania o Francia.
È ovvio che una partita difficile come quella sul lavoro richiede anche politiche pubbliche a sostegno alla domanda: ma le public policies non sono sufficienti. Sono indispensabili anche privite policies, che possono, a esempio, concretizzarsi nello scenario associativo imprenditoriale, che è chiamato in causa da un mondo tecnologico che non sarà meno, ma più imprenditoriale, digitale e science oriented.
Non a caso, Papa Francesco ha evidenziato l’importanza di una cultura imprenditoriale responsabile e inclusiva, “da classe dirigente”, che si occupi, da un canto, di aumentare produttività e generare ricchezza e, dall’altro, di creare opportunità per la gente di guadagnarsi onestamente di cui vivere.
DIFFICOLTÀ E PARADOSSI Nonostante il saldo positivo degli occupati a gennaio, con un’economia stagnante resta la barriera all’ingresso per le nuove generazioni