Canoni d’affitto non dichiarati: penalità con confini incerti
Tra gli aspetti della riforma del sistema sanzionatorio che richiedono un approfondimento ce ne sono alcuni riguardanti le locazioni e le lievi infedeltà.
Il nuovo comma 7 dell’articolo 1 del Dlgs 471/1997 prevede che nel caso in cui, nella dichiarazione dei redditi, il canone derivante dalla locazione di immobili a uso abitativo non sia indicato o sia indicato in misura inferiore a quella effettiva, le sanzioni amministrative previste per l’omessa e per l’infedele dichiarazione si applicano in misura raddoppiata.
Questo inasprimento - che non si applica alle locazioni effettuate nell’esercizio di impresa, arte o professione - non è una novità, ma riproduce il previgente comma 5 dell’articolo 3 del Dlgs 23/2011.
Tuttavia, la nuova formulazione fa sorgere il dubbio circa il perimetro applicativo della disposizione. Infatti, la norma precedente, nonostante la sua collocazione nell’ambito dell’articolo 3 che disciplina i contratti con l’opzione per la cedolare, per come era scritta si intendeva era rivolta a tutti i contratti abitativi, soggetti a cedolare o meno. Attualmente, la norma rinvia espressamente alle «ipotesi di cui all’articolo 3» del Dlgs 23/2011 per cui, letteralmente, ai soli contratti nel regime della cedolare.
Resta da capire, allora, se con la modifica si sia inteso colpire maggiormente l’infedeltà dichiarativa solo in caso di opzione (e quindi mai per chi, semplicemente, non redige alcun contratto), o se si tratti di un refuso. È importante osservare che, nel passaggio dalla “vecchia” alla “nuova” disposizione, il legislatore ha evitato di riprodurre la penalizzazione precedente, che impediva al contribuente, in caso di definizione in adesione o di acquiescenza, di accedere alla riduzione delle sanzioni collegata a tali istituti definitori. Pertanto, con l’entrata in vigore delle nuove norme, si seguono le regole ordinarie.
Il testo riformulato dell’articolo 1, comma 4, del Dlgs 471/1997 (che punisce la dichiarazione infedele) stabilisce che, fuori dai casi di frode, la sanzione ordinaria (dal 90% al 180% della maggior imposta) è ridotta «di un terzo» (quindi dal 60% al 120%) quando la maggiore imposta o il minore credito accertati sono complessivamente inferiori al 3% dell’imposta e del credito dichiarati e comunque com- plessivamente inferiori a 30mila euro. La stessa riduzione si applica quando l’infedeltà è conseguenza di un errore sulla competenza in presenza di danno erariale.
Il termine «accertati» ha fatto ipotizzare che la minor sanzione non possa essere applicata in sede di ravvedimento operoso, poiché quest’ultimo deve precedere l’accertamento, ma è una tesi che non convince. Infatti, la conclusione pare poco sistematica, poiché, in linea di principio, il contribuente sceglie la sanzione da ravvedere in base a quella (minima) oggetto di accertamento nel caso specifico, per cui, se sussistono gli estremi per la riduzione, non si vede perché essa non possa essere considerata fin dal momento del ravvedimento operoso. Diverso è il discorso se si affronta il “cumulo giuridico” (articolo 12, Dlgs 472/1997) perché, in questo caso, solo al momento dell’accertamento si hanno tutte le informazioni necessarie ad applicare tale disposizione.