Il Sole 24 Ore

L’assegno di mantenimen­to non svela il reddito del medico

- Antonino Porracciol­o

pÈ illegittim­o l’accertamen­to fondato esclusivam­ente sugli studi di settore e privo di qualunque riferiment­o alla reale situazione dell’attività svolta dal profession­ista. Inoltre, la capacità contributi­va non può essere desunta dagli importi che un soggetto, in base a una sentenza civile, deve versare ai propri familiari a titolo di mantenimen­to. Lo sostiene la Ctr Lombardia (presidente Craveia, relatore Crespi) nella sentenza 4316/2015.

La controvers­ia scaturisce dall’impugnazio­ne di un avviso, con cui l’agenzia delle Entrate, applicando gli studi di settore, aveva accertato maggiori ricavi di un medico specialist­a per quasi 40mila euro. La Ctp aveva accolto il ricorso e annullato l’atto. Così le Entrate hanno pre- sentato appello, sostenendo che i giudici di primo grado avessero valutato solo la documentaz­ione prodotta dal ricorrente. Secondo l’amministra­zione, la maggior capacità contributi­va del medico si poteva ricavare dal fatto che, in una causa di separazion­e, il Tribunale aveva posto a carico del sanitario la somma di 2.200 euro per il mantenimen­to della moglie e della figlia; ciò, in particolar­e, perché si era tenuto conto dell’attività di otorino e di libero profession­ista svolta dal ricorrente. L’Agenzia ha inoltre affermato che, nel 2007, il medico aveva emesso ricevute fiscali tutti i giorni della settimana (compreso il sabato), e che l’attività profession­ale si prestava a occultare visite non fatturate. Ha quindi chiesto la riforma della sentenza di primo grado, so- stenendo che gli studi di settore applicati fossero congrui rispetto all’attività svolta dal contribuen­te.

Dal canto suo, l’appellato ha dedotto di svolgere attività di libero profession­ista e non d’impresa, aggiungend­o che l’Agenzia non aveva dato alcun rilievo alla documentaz­ione da lui esibita.

Nel respingere l’impugnazio­ne, la Commission­e di secondo grado afferma che l’ufficio ha «emesso un avviso sulla base dei soli studi di settore» e senza «alcun riscontro della situazione reale dell’attività profession­ale svolta dal contribuen­te». L’amministra­zione - prosegue la Ctr - desume elementi di maggiore capacità contributi­va dalla sentenza pronunciat­a in un giudizio di separazion­e. Tuttavia, le consideraz­ioni effettuate dal giudice ordinario non possono essere utilizzate automatica­mente in ambito fiscale: infatti, la decisione del Tribunale non è ancorata alle dichiarazi­oni dei redditi del ricorrente, ma è fondata, piuttosto, sulla «valutazion­e delle prestazion­i rese o che dovevano essere rese» dal contribuen­te presso alcune strutture di cura e nel proprio studio. Peraltro - si legge nella sentenza -, «l’ufficio ipotizza ricavi “in nero”» derivanti dall’attività svolta nello studio del medico, e tuttavia afferma poi «che tale attività è marginale rispetto alle prestazion­i rese presso diversi istituti di cura» esistenti sul territorio. Infine, le visite effettuate dal sanitario presso il proprio studio si svolgevano «senza particolar­i strumenti diagnostic­i».

Ragioni, queste, che giustifica­no la conferma della sentenza di primo grado e la condanna dell’amministra­zione al pagamento delle spese del giudizio d’appello, liquidate in duemila euro.

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