Poste, nuova tranche sul mercato
Ai prezzi attuali l’incasso per lo Stato sarebbe di 2,6 miliardi
Il ministero dell’Economia sta valutando l’opportunità di cedere un’ulteriore quota di Poste Italiane entro la fine dell’anno, portando la partecipazione intorno al 35% dall’attuale 65%. Il dicastero starebbe pensando di inserire la società nell’elenco delle possibili nuove privatizzazioni previste dal Def di metà aprile: l’operazione prende quota a seguito della decisione di sospendere la quotazione delle Ferrovie dello Stato nel 2016, e quindi mira a garantire comunque un introito per lo Stato. L’incasso con le Poste, agli attuali valore di Borsa, ammonterebbe a 2,6 miliardi.
Il ministero per l’Economia valuta l’opportunità di cedere un’ulteriore quota di Poste Italiane entro la fine dell’anno. L’ipotesi non è stata smentita dal dicastero, che starebbe pensando di inserire la società nell’elenco delle possibili nuove privatizzazioni previste dal Def di metà aprile. Gli incassi delle privatizzazioni, pari allo 0,5% del Pil l’anno nel triennio 2016-2018 (circa 8 miliardi di euro l’anno), sono ritenuti essenziali per ridurre il debito troppo alto, su cui anche giovedì la Bce ha reiterato il suo costante richiamo. L’operazione su Poste starebbe prendendo quota a seguito della decisione di sospendere la quotazione delle Ferrovie dello Stato nel 2016 e quindi per garantire comunque un introito per lo Stato.
Il percorso, però, non è così semplice. Poste Italiane è stata quotata in Borsa pochi mesi fa a un valore di 6,7 euro per azione. Le negoziazioni sono iniziate il 27 ottobre e il titolo ha cominciato a soffrire, tanto che per il mese successivo le banche del consorzio di collocamento hanno dovuto utilizzare quasi tutta la greenshoe, la quota di titoli che viene lasciata per stabilizzare i corsi azionari, per tenere il valore delle azioni vicino al prezzo di vendita. Il risultato è stato che l’Economia ha dovuto accontentarsi di incassare 3,1 miliardi, rinunciando a circa 300 milioni della greenshoe. Nonostante i buoni risultati che il management della società sta realizzando in questi mesi - il bilancio 2015 evidenzia un incremento di ricavi, margini e risultato netto - il titolo Poste continua a soffrire in Borsa perché molti investitori lo assimi- lano a un titolo bancario, penalizzandolo tutte le volte che gli istituti di credito italiani finiscono nel mirino della speculazione.
Il ministero sta valutando l’ipotesi di mettere sul mercato il 30% entro la fine dell’anno, portando la partecipazione del Tesoro, oggi attorno al 65%, al 35%. L’incasso, agli attuali valore di Borsa, sarebbe attorno a 2,6 miliardi. L’operazione sarebbe percorribile, a patto che fosse approvato un nuovo Dpcm che consenta allo Stato di scendere sotto il 40%, ma le implicazioni non sono da sottovalutare. La recente quotazione della società e l’attenzione del mercato su termini e tempi nei quali il management potrà riuscire ad attuare il piano industriale potrebbero rendere prematuro un ritorno sul mercato così presto. A fronte di un titolo che a fatica riesce a stare sopra il prezzo di collocamento, il rischio è che l’immissione sul listino di un’ingente quantità di titoli abbia un effetto overhang, ovvero pesi sui corsi azionari deprimendoli. Non sarebbe un risultato auspicabile, soprattutto considerando l’ampia platea di risparmiatori e dipendenti coinvolta in sede di Ipo. È vero, comunque, che il titolo Poste ha dimostrato una certa solidità e resistenza alla speculazione: dal 27 ottobre a oggi le azioni sono rimaste a 6,7 euro, pur segnando picchi di 5 euro a febbraio, quando invece l’indice Ftse-Mib ha perso circa il 20%. Certo, tutto dipende dall’andamento dei mercati: se nei prossimi mesi si assistesse a un boom di Borsa sarebbe tutto più semplice. Non c’è da aspettarsi troppo, del resto, dal fatto che la discesa sotto il 51% da parte dello Stato faccia percepire al mercato la società come più contendibile e quindi lo porti ad accrescere il valore del titolo. Anche con il 30% o meno lo Stato mantiene saldo il controllo, come la recente discesa del ministero dell’Economia dal 30 al 25% nel capitale di Enel ha dimostrato. Le indiscrezioni riportano che, in alternativa, potrebbe essere considerato un intervento della Cdp per rilevare la quota di Poste. L’ipotesi sembra poco percorribile: fino a 3 anni fa le Poste erano sotto il controllo della Cdp e queste partite di giro nel perimetro pubblico non sembrano il segnale migliore per una società da poco privatizzata. Senza contare il fatto che un intervento della Cassa per un progetto che non sia organico e coerente con il piano industriale non sarebbe praticabile.
Nel frattempo un’altra privatizzazione sta entrando nel vivo. Il cda di Enav è stato convocato per martedì prossimo: all’ordine del giorno ci sono l’approvazione del bilancio e del piano industriale. Entrambi i tasselli sono cruciali per completare il prospetto informativo che potrà essere così presentato in Consob. Il filing presso l’Autorità e la domanda di ammissione a quotazione a piazza Affari dovrebbero avvenire tra il 4 e il 7 aprile.
OPERAZIONE DA 2,6 MILIARDI L’incasso, agli attuali valori di borsa, sarebbe di 2,6 miliardi. Necessario un Dpcm che permetta allo Stato di scendere sotto il 40%