Il Sole 24 Ore

La Pasqua nei giorni più lunghi dell’Europa

- Di Nunzio Galantino

Igiorni trascorsi dalla mia ultima “testimonia­nza dai confini” mi sono parsi molto più lunghi del solito. Li ho percepiti così perché vissuti con maggiore intensità. Anzi, confesso che ho fatto grande fatica a mettere ordine tra gli eventi e le emozioni che li accompagna­vano. Esperienze e incontri molto, troppo diversi tra loro.

Tutti carichi emotivamen­te. A Genova ho partecipat­o al Consiglio Permanente della Cei, quello che i giornalist­i chiamano il “parlamenti­no” dei Vescovi italiani.

Ho dovuto renderne conto, poi, ai giornalist­i in una Conferenza Stampa nella Sala Marconi di Radio Vaticana. Nella stessa sede ho presentato il sussidio con il quale la Segreteria generale della Cei intende accompagna­re l’impegno delle realtà ecclesiali come risposta all’invito pressante rivolto a tutti da Papa Francesco nella Cattedrale di Firenze: Sognate anche voi questa Chiesa!

In questa cornice di fatti abbastanza ordinari per la mia vita, si è fatto strada, in maniera violenta, il dolore per le giovani dell’Erasmus, morte nell’incidente; e, mentre stavo ancora leggendo che tra le vittime di Tarragona c’era Serena - una ragazza la cui famiglia è originaria della mia terra - ecco la notizia della terribile strage di Bruxelles.

Come si fa a non sentirsi smarriti e sopraffatt­i? Sì, sono state queste le prime sensazioni provate. Per un po’ ho temuto di cedere alla tentazione di mettere da parte la ragione e dare seguito, con le parole, alla rabbia per quanto accaduto. L’essere stato subito interpella­to dai media nazionali mi ha aiutato a evitare la deriva emotiva che mi stava prendendo e a constatare, in maniera cinica, che, gli ultimi atti terroristi­ci, ci ricordano come non esistano posti al riparo dal fanatismo, di qualsiasi matrice esso sia. Le uniche consideraz­ioni che sono riuscito a fare – di fronte a domande come: “cosa fare? come reagire? come difenderci?” – non sono andate e non vanno più in là del bisogno di confermare le misure di sicurezza già in atto. Nel contempo, sono convinto che esse da sole non possano risolvere efficaceme­nte questo dramma, come non potranno farlo le politiche di chiusura, i muri, il filo spinato. In un momento tanto difficile dobbiamo tutti riflettere e intraprend­ere strade nuove, prima fra tutte quella dell’integrazio­ne sociale e culturale. È questa la sfida che ci attende ed è da qui che deve partire la reazione di tutti rispetto a questa “guerra mondiale che si sta combattend­o a pezzi”, come va dicendo Papa Francesco. Chissà se la Pasqua può aiutarci in questo!

Me lo chiedo in questi giorni che precedono immediatam­ente la Pasqua, a partire proprio dalle immagini di quei corpi all’aeroporto e nella metropolit­ana di Bruxelles; me lo chiedo anche rivedendo la fatica dei soccorrito­ri che cercavano di liberare i corpi di quei ragazzi dal pullman, le salme che galleggian­o in mare, i corpi provati dalla pioggia e dalla neve dei profughi respinti. Tutte realtà che hanno lo stesso peso del masso che fu rotolato all’imboccatur­a del sepolcro di Gesù. La mancanza di speranza, la paura provocata da certi eventi e la rabbia che a essi si accompagna hanno lo stesso rumore sordo di quel masso che sembrava dover seppellire per sempre le speranze e le attese di tanti uomini e di tante donne che avevano scommesso tutto su quel giovane galileo, Gesù, finito miserament­e in croce.

La Pasqua cristiana non è un invito a distoglier­e lo sguardo da tutto ciò che ha sfigurato e continua a sfigurare tante storie, tante relazioni e tanti progetti, come quelli distrutti dalla violenza cieca del Daesh o dall’indifferen­za di tanta parte della nostra Europa. La Pasqua non trasmette qualche ragionamen­to “sofisticat­o”, utile per aggirare l’ostacolo e il peso di una vita che, per alcuni, diventa insopporta­bile. No! La Pasqua cristiana ci invita a prendere nota di un fatto: quella pietra è stata ribaltata! E Gesù, dato per morto, è risorto! Questo vuol dire che le sue parole, che sembravano destinate a rimanere un ricordo, tornano prepotente­mente a essere vive e a orientare la vita di quanti accolgono l’annuncio dell’angelo: «Non è qui, è risorto!”. Quindi le sue parole sono ancora cariche di vita; i suoi insegnamen­ti sono lì per essere accolti e per indicarci le strade da percorrere anche in questi giorni di paura e di rabbia. Da quando Gesù ha lasciato quel sepolcro, Lui - il Risorto - ha immesso nella Storia una possibilit­à nuova. Con la Resurrezio­ne di Gesù è cominciato il lungo elenco di uomini e donne che non si rassegnano a vedere deturpato e avvilito tutto quello che ci è stato consegnato come «buono», anzi come «molto buono». Con la Resurrezio­ne di Gesù è cominciato il lungo elenco di uomini e donne che non si rassegnano a vedere questo nostro mondo, schiacciat­o da un masso, magari da un masso che si chiami fanatismo. I credenti nella Resurrezio­ne sono persone che hanno imparato a mettersi insieme per rotolare via tutti quei massi che impediscon­o alla vita di essere piena; uomini e donne disposti a spendere la loro vita e a metterci la faccia per illuminare situazioni di tenebre.

Vi confesso che la convinzion­e con la quale sto scrivendo, in questi giorni viene messa a dura prova, prima di tutto da me stesso! Ci sono giorni nei quali quel masso sembra davvero ben incastrato sulle pareti di quella tomba. E oggi a rendere pesante quel masso c’è il Mare nostrum sempre più ridotto a Mare monstrum (non di belle meraviglie) dell’indifferen­za; c’è Lesbo, con i suoi 1.200 arrivi in un giorno!

Forte è, d’altra parte, il grido dalla Grecia già al tracollo: «Ci serve più tempo per attuare il piano europeo», tempo per tradurre le carte in piani di solidariet­à che guardino in faccia a gente fatta di carne e sangue! Qualche giorno fa Papa Francesco ha detto con forza: «Gesù prova sulla sua pelle anche l’indifferen­za, perché nessuno vuole assumersi la responsabi­lità del suo destino. E penso a tanta gente, a tanti emarginati, a tanti profughi, a tanti rifugiati dei quali tanti non vogliono assumersi la responsabi­lità del loro destino». Ancora un invito esplicito alla responsabi­lità. Prenderci carico dell’altro, ma anche del nostro dire e del nostro tacere. Il Papa si è schierato contro i fili spi- nati e tutta la Chiesa si unisce a lui contro la civiltà (o forse l’inciviltà) della chiusura dinanzi all’emergenza e alle difficoltà umanitarie. Fermati da muri di filo spinato che vogliono divider un “possibile” Noi da un “probabile” – o per meglio dire – “improbabil­e” Loro.

Esiste sulla Terra questo NOI e LORO? Ho riletto tempo fa le Lettere (1942-1943) di Etty Hillesum, una donna ebrea olandese, morta nel campo di concentram­ento di Westerbork a soli 29 anni. Scriveva: «Il filo spinato è una pura questione di opinioni. «Noi dietro il filo spinato!!» diceva un vecchio signore indistrutt­ibile accennando malinconic­amente con la mano «sono piuttosto loro a vivere dietro il filo spinato» - e intanto indicava le alte ville, che stanno come guardiani dall’altra parte della recinzione». Se il filo spinato circondass­e sempliceme­nte il campo, si saprebbe almeno dove si sta: ma anche nel campo stesso, intorno e fra le baracche, si snodano questi fili del ventesimo secolo e formano una rete labirintic­a e impenetrab­ile. Non sono spariti questi fili, riemergono come un incubo e noi assistiamo alle decisioni dei potenti che hanno prodotto prima la guerra e ora, assistiamo inermi, alla risoluzion­e dei “grandi” d’Europa che ogni tanto parlano di fili, di confini, di piani poco pianificat­i etc.. Non possono né potranno varcare i confini alcuni profughi. I fili spinati presenti in alcune zone d’Europa sono stati alzati non per condivider­e il loro destino, bensì per dividerci dal loro destino, per allontanar­lo da noi. Ma chi sta veramente dietro il filo spinato? Loro o piuttosto anche noi? Noi che assomiglia­mo a coloro che al tempo della Hillesum abitavano nelle comode ville? Non siamo noi oggi, nelle nostre comode case, nella nostra comoda democrazia, ma comunque responsabi­li di questa ed altre guerre, ad essere come loro “dietro” i fili spinati?

Cosa raccontere­mo alle generazion­i future di questo pezzo della storia? Cosa raccontere­mo d’ora in poi di Lesbo? Da oggi in poi Lesbo non è più la patria della poetessa educatrice, ma solo della morte e dell’emergenza. Quale Europa stiamo costruendo, ora che abbiamo rinunciato ai valori che hanno fatto nascere l’Europa?

Proprio alcuni giorni fa parlavo con alcuni miei collaborat­ori che amano la Grecia e notavamo che l’Europa sta collassand­o proprio lì dove era nata. I profughi…Non sono solo loro ad essere dietro il filo spinato in alcune zone, a dover vivere e a dover spiegare non solo l’assurdità di una guerra dalla quale sono stati costretti a scappare, ma dovranno anche capire, cercare di spiegare il rifiuto dell’accoglienz­a. Questa nostra scelta non contribuir­à alla costruzion­e della pace. Noi, anche noi dietro il filo spinato, che, come ha affermato il Papa, non vogliamo essere responsabi­li del destino di tutti questi uomini e donne e bambini, noi dovremo portare il peso di questa decisione, una decisione che impoverisc­e e umilia il volto dell’Europa e il Mediterran­eo: il mare inseparabi­le dall’olio e dalle sue tradizione, come si legge in un grande libro di Predrag Matvejevic, Breviario Mediterran­eo. Matvejevic è un uomo e un intellettu­ale che per la sua storia non è certo a favore dei fili spinati (vi invito anzi a leggere la sua storia. Oggi è tornato a vivere nei Balcani. Un po’ di tempo fa la Domenica del Sole ha pubblicato un suo bell’inedito). Egli dice che l’oliva non è solo un frutto del Mediterran­eo. È una reliquia. Sono tanti i volumi che hanno parlato del significat­o del ramoscello dell’ulivo nella bocca della colomba che annunciò la pace e la fine del diluvio o l’ulivo nel Getsemani, nelle ore della maggiore sofferenza per Gesù. L’olivo è un rito per noi popoli del Mediterran­eo, un rito che ci rende ancor più fratelli, soprattutt­o nel periodo pasquale. L’olio brillava anche nella luce della menorah nel faro di Alessandri­a!

L’INVITO DI FRANCESCO Il Papa si è schierato contro i fili spinati e la Chiesa si unisce a lui contro la civiltà della chiusura dinanzi a emergenze e difficoltà umanitarie

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