La Pasqua nei giorni più lunghi dell’Europa
Igiorni trascorsi dalla mia ultima “testimonianza dai confini” mi sono parsi molto più lunghi del solito. Li ho percepiti così perché vissuti con maggiore intensità. Anzi, confesso che ho fatto grande fatica a mettere ordine tra gli eventi e le emozioni che li accompagnavano. Esperienze e incontri molto, troppo diversi tra loro.
Tutti carichi emotivamente. A Genova ho partecipato al Consiglio Permanente della Cei, quello che i giornalisti chiamano il “parlamentino” dei Vescovi italiani.
Ho dovuto renderne conto, poi, ai giornalisti in una Conferenza Stampa nella Sala Marconi di Radio Vaticana. Nella stessa sede ho presentato il sussidio con il quale la Segreteria generale della Cei intende accompagnare l’impegno delle realtà ecclesiali come risposta all’invito pressante rivolto a tutti da Papa Francesco nella Cattedrale di Firenze: Sognate anche voi questa Chiesa!
In questa cornice di fatti abbastanza ordinari per la mia vita, si è fatto strada, in maniera violenta, il dolore per le giovani dell’Erasmus, morte nell’incidente; e, mentre stavo ancora leggendo che tra le vittime di Tarragona c’era Serena - una ragazza la cui famiglia è originaria della mia terra - ecco la notizia della terribile strage di Bruxelles.
Come si fa a non sentirsi smarriti e sopraffatti? Sì, sono state queste le prime sensazioni provate. Per un po’ ho temuto di cedere alla tentazione di mettere da parte la ragione e dare seguito, con le parole, alla rabbia per quanto accaduto. L’essere stato subito interpellato dai media nazionali mi ha aiutato a evitare la deriva emotiva che mi stava prendendo e a constatare, in maniera cinica, che, gli ultimi atti terroristici, ci ricordano come non esistano posti al riparo dal fanatismo, di qualsiasi matrice esso sia. Le uniche considerazioni che sono riuscito a fare – di fronte a domande come: “cosa fare? come reagire? come difenderci?” – non sono andate e non vanno più in là del bisogno di confermare le misure di sicurezza già in atto. Nel contempo, sono convinto che esse da sole non possano risolvere efficacemente questo dramma, come non potranno farlo le politiche di chiusura, i muri, il filo spinato. In un momento tanto difficile dobbiamo tutti riflettere e intraprendere strade nuove, prima fra tutte quella dell’integrazione sociale e culturale. È questa la sfida che ci attende ed è da qui che deve partire la reazione di tutti rispetto a questa “guerra mondiale che si sta combattendo a pezzi”, come va dicendo Papa Francesco. Chissà se la Pasqua può aiutarci in questo!
Me lo chiedo in questi giorni che precedono immediatamente la Pasqua, a partire proprio dalle immagini di quei corpi all’aeroporto e nella metropolitana di Bruxelles; me lo chiedo anche rivedendo la fatica dei soccorritori che cercavano di liberare i corpi di quei ragazzi dal pullman, le salme che galleggiano in mare, i corpi provati dalla pioggia e dalla neve dei profughi respinti. Tutte realtà che hanno lo stesso peso del masso che fu rotolato all’imboccatura del sepolcro di Gesù. La mancanza di speranza, la paura provocata da certi eventi e la rabbia che a essi si accompagna hanno lo stesso rumore sordo di quel masso che sembrava dover seppellire per sempre le speranze e le attese di tanti uomini e di tante donne che avevano scommesso tutto su quel giovane galileo, Gesù, finito miseramente in croce.
La Pasqua cristiana non è un invito a distogliere lo sguardo da tutto ciò che ha sfigurato e continua a sfigurare tante storie, tante relazioni e tanti progetti, come quelli distrutti dalla violenza cieca del Daesh o dall’indifferenza di tanta parte della nostra Europa. La Pasqua non trasmette qualche ragionamento “sofisticato”, utile per aggirare l’ostacolo e il peso di una vita che, per alcuni, diventa insopportabile. No! La Pasqua cristiana ci invita a prendere nota di un fatto: quella pietra è stata ribaltata! E Gesù, dato per morto, è risorto! Questo vuol dire che le sue parole, che sembravano destinate a rimanere un ricordo, tornano prepotentemente a essere vive e a orientare la vita di quanti accolgono l’annuncio dell’angelo: «Non è qui, è risorto!”. Quindi le sue parole sono ancora cariche di vita; i suoi insegnamenti sono lì per essere accolti e per indicarci le strade da percorrere anche in questi giorni di paura e di rabbia. Da quando Gesù ha lasciato quel sepolcro, Lui - il Risorto - ha immesso nella Storia una possibilità nuova. Con la Resurrezione di Gesù è cominciato il lungo elenco di uomini e donne che non si rassegnano a vedere deturpato e avvilito tutto quello che ci è stato consegnato come «buono», anzi come «molto buono». Con la Resurrezione di Gesù è cominciato il lungo elenco di uomini e donne che non si rassegnano a vedere questo nostro mondo, schiacciato da un masso, magari da un masso che si chiami fanatismo. I credenti nella Resurrezione sono persone che hanno imparato a mettersi insieme per rotolare via tutti quei massi che impediscono alla vita di essere piena; uomini e donne disposti a spendere la loro vita e a metterci la faccia per illuminare situazioni di tenebre.
Vi confesso che la convinzione con la quale sto scrivendo, in questi giorni viene messa a dura prova, prima di tutto da me stesso! Ci sono giorni nei quali quel masso sembra davvero ben incastrato sulle pareti di quella tomba. E oggi a rendere pesante quel masso c’è il Mare nostrum sempre più ridotto a Mare monstrum (non di belle meraviglie) dell’indifferenza; c’è Lesbo, con i suoi 1.200 arrivi in un giorno!
Forte è, d’altra parte, il grido dalla Grecia già al tracollo: «Ci serve più tempo per attuare il piano europeo», tempo per tradurre le carte in piani di solidarietà che guardino in faccia a gente fatta di carne e sangue! Qualche giorno fa Papa Francesco ha detto con forza: «Gesù prova sulla sua pelle anche l’indifferenza, perché nessuno vuole assumersi la responsabilità del suo destino. E penso a tanta gente, a tanti emarginati, a tanti profughi, a tanti rifugiati dei quali tanti non vogliono assumersi la responsabilità del loro destino». Ancora un invito esplicito alla responsabilità. Prenderci carico dell’altro, ma anche del nostro dire e del nostro tacere. Il Papa si è schierato contro i fili spi- nati e tutta la Chiesa si unisce a lui contro la civiltà (o forse l’inciviltà) della chiusura dinanzi all’emergenza e alle difficoltà umanitarie. Fermati da muri di filo spinato che vogliono divider un “possibile” Noi da un “probabile” – o per meglio dire – “improbabile” Loro.
Esiste sulla Terra questo NOI e LORO? Ho riletto tempo fa le Lettere (1942-1943) di Etty Hillesum, una donna ebrea olandese, morta nel campo di concentramento di Westerbork a soli 29 anni. Scriveva: «Il filo spinato è una pura questione di opinioni. «Noi dietro il filo spinato!!» diceva un vecchio signore indistruttibile accennando malinconicamente con la mano «sono piuttosto loro a vivere dietro il filo spinato» - e intanto indicava le alte ville, che stanno come guardiani dall’altra parte della recinzione». Se il filo spinato circondasse semplicemente il campo, si saprebbe almeno dove si sta: ma anche nel campo stesso, intorno e fra le baracche, si snodano questi fili del ventesimo secolo e formano una rete labirintica e impenetrabile. Non sono spariti questi fili, riemergono come un incubo e noi assistiamo alle decisioni dei potenti che hanno prodotto prima la guerra e ora, assistiamo inermi, alla risoluzione dei “grandi” d’Europa che ogni tanto parlano di fili, di confini, di piani poco pianificati etc.. Non possono né potranno varcare i confini alcuni profughi. I fili spinati presenti in alcune zone d’Europa sono stati alzati non per condividere il loro destino, bensì per dividerci dal loro destino, per allontanarlo da noi. Ma chi sta veramente dietro il filo spinato? Loro o piuttosto anche noi? Noi che assomigliamo a coloro che al tempo della Hillesum abitavano nelle comode ville? Non siamo noi oggi, nelle nostre comode case, nella nostra comoda democrazia, ma comunque responsabili di questa ed altre guerre, ad essere come loro “dietro” i fili spinati?
Cosa racconteremo alle generazioni future di questo pezzo della storia? Cosa racconteremo d’ora in poi di Lesbo? Da oggi in poi Lesbo non è più la patria della poetessa educatrice, ma solo della morte e dell’emergenza. Quale Europa stiamo costruendo, ora che abbiamo rinunciato ai valori che hanno fatto nascere l’Europa?
Proprio alcuni giorni fa parlavo con alcuni miei collaboratori che amano la Grecia e notavamo che l’Europa sta collassando proprio lì dove era nata. I profughi…Non sono solo loro ad essere dietro il filo spinato in alcune zone, a dover vivere e a dover spiegare non solo l’assurdità di una guerra dalla quale sono stati costretti a scappare, ma dovranno anche capire, cercare di spiegare il rifiuto dell’accoglienza. Questa nostra scelta non contribuirà alla costruzione della pace. Noi, anche noi dietro il filo spinato, che, come ha affermato il Papa, non vogliamo essere responsabili del destino di tutti questi uomini e donne e bambini, noi dovremo portare il peso di questa decisione, una decisione che impoverisce e umilia il volto dell’Europa e il Mediterraneo: il mare inseparabile dall’olio e dalle sue tradizione, come si legge in un grande libro di Predrag Matvejevic, Breviario Mediterraneo. Matvejevic è un uomo e un intellettuale che per la sua storia non è certo a favore dei fili spinati (vi invito anzi a leggere la sua storia. Oggi è tornato a vivere nei Balcani. Un po’ di tempo fa la Domenica del Sole ha pubblicato un suo bell’inedito). Egli dice che l’oliva non è solo un frutto del Mediterraneo. È una reliquia. Sono tanti i volumi che hanno parlato del significato del ramoscello dell’ulivo nella bocca della colomba che annunciò la pace e la fine del diluvio o l’ulivo nel Getsemani, nelle ore della maggiore sofferenza per Gesù. L’olivo è un rito per noi popoli del Mediterraneo, un rito che ci rende ancor più fratelli, soprattutto nel periodo pasquale. L’olio brillava anche nella luce della menorah nel faro di Alessandria!
L’INVITO DI FRANCESCO Il Papa si è schierato contro i fili spinati e la Chiesa si unisce a lui contro la civiltà della chiusura dinanzi a emergenze e difficoltà umanitarie