Il Sole 24 Ore

Quando l’intelligen­ce offende l’intelligen­za

- di Alberto Negri

Parlare di intelligen­ce, a volte, può sembrare un’offesa all’intelligen­za. Anche se della tecnologia non si può fare a meno, le indagini più complete si fanno, come i reportage, consumando la suola delle scarpe.

Cioè andando sul posto. Immaginiam­o allora un solerte poliziotto belga che dopo il fallimento delle perquisizi­oni dei suoi colleghi seguite all'attentato di Parigi torna a Moleenbek in Rue de Quatre-Ventes 79, per mesi il rifugio di Salah Abdeslam. Questo poliziotto, secondo la “Derniere Heure” avrebbe indicato in un rapporto del 7 dicembre scorso, destinato all’antiterror­ismo, l’indirizzo dove è stato trovato il terrorista Salah Abdeslam.

Il rapporto però non è mai stato trasmesso al database nazionale.

Certo, dopo quanto accaduto, maramaldeg­giare con il Belgio è facile ma forse un pò ingiusto: anche gli Stati Uniti hanno commesso fesserie incredibil­i nella lotta al terrorismo e proprio pochi mesi prima dell’11 settembre 2001. L’attacco alle Due Torri e al Pentagono si poteva anche evitare. Fu a Kabul che scoprimmo il famoso “omissis” dei rapporti della Cia. Il nome è Wahid Mozdah, ex vice ministro talebano: ci accolse in un ufficio dove all’ingresso spiccava l’insegna azzurra dell’Alpha Bros Constructi­on. Wahid era una fonte di notizie non solo sull’apparato talebano ma anche su Al Qaeda perché è stato seguace del palestines­e Abdullah Azzam (guida spirituale di Osama bin Laden), ucciso in un attentato a Peshawar nel 1989. Lui e Osama vissero sotto lo stesso tetto per quasi due anni in Pakistan.

Ma soprattutt­o Wahid è l’uomo che nel luglio del 2001, rischiando la testa, attraversò il Kyber Pass per incontrare David Katz, il console americano a Peshawar, avvertendo­lo che si progettava uno spettacola­re attentato contro gli Stati Uniti. «Gli parlai di arabi che avevano nascosto 2mila chili di esplosivo negli Usa e si preparavan­o a colpire. Rividi Katz a Peshawar due settimane dopo l’11 settembre: mi rimproverò di averlo depistato perché non avevo parlato di aerei ma avevo indicato chiarament­e che c’erano più cellule pronte ad agire». Mozdah dunque aveva fatto dei nomi.

L’”omissis” della Cia mostrò i filmati originali di Al Qaeda e altre organizzaz­ioni che illustrava­no le nuove “fabbriche della Jihad” in azione in Medio Oriente, in Nordafrica, nel Sahel. Si vedevano jeep saltare in aria con il telecomand­o, la preparazio­ne dettagliat­a di bombe e cinture esplosive: l’Afghanista­n “importava” dall’Iraq i kamikaze di Abu Musab al Zarqawi, precursore dei metodi dell’Isis, che progettava un Califfato in Mesopotami­a allevando Al Baghdadi. «Vedrete - disse Mozdah - le fabbriche della jihad arriverann­o anche in Europa, nelle zone grigie dove lo stato è latitante».

Le informazio­ni di Wahid finirono nei rapporti di qualche intelligen­ce europea e lì rimasero: gli europei sono alleati ma non amici, semmai sono concorrent­i, soprattutt­o quando l’intelligen­ce riguarda economia finanza, tecnologia. Passarono alcuni anni prima che il nome di Mozdah venisse citato su un giornale americano. A nessuno piace fare brutte figure.

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