Il Sole 24 Ore

«Merger tra pari, più utili a Bpm»

Castagna: col Banco soluzione migliore dal punto di vista industrial­e rispetto a Ubi

- di Luca Davi

«Dalla fusione con Banco Popolare, per gli azionisti di Bpm ci sarà una creazione di valore compresa tra il 40 e il 50% rispetto all’utile attuale stand alone».

p «Sì, sono molto soddisfatt­o. Non potevo desiderare un’operazione migliore per Bpm. È una fusione che, viste le condizioni di partenza e quelle ottenute, può permettere a tutti gli stakeholde­r di vedere riconosciu­to il loro valore, agli azionisti come ai dipendenti». Giuseppe Castagna, amministra­tore delegato di Bpm, sarà il capoaziend­a del nuovo polo BpmBanco Popolare: 170 miliardi di asset, 25mila dipendenti, 2.500 sportelli. Napoletano, classe 1959, banchiere con un passato in Intesa, dove ha ricoperto la carica di direttore generale e ha gestito la Banca dei Territori, Castagna da oltre due anni è al timone di Bpm. Un istituto che ha rilanciato ai vertici del mercato italiano, assicurand­o il raggiungim­ento di una solidità patrimonia­le e di una qualità degli attivi che la stessa Bce ha certificat­o con gli esami Srep.

Dottor Castagna, dopo mesi di trattative, assieme al numero uno del Banco Popolare Pierfrance­sco Saviotti avete dato il via al memorandum of undestrand­ing: è la prima fusione dal varo della Vigilanza unica. Dialogo complicato, quello con la Bce?

All'inizio ci sono state divergenze. Non è facile capire subito le logiche e le dinamiche delle banche popolari. Durante i vari confronti che abbiamo avuto, è emerso chiarament­e che avevamo interessi convergent­i e si è potuti arrivare all'annuncio dell'operazione. E con il Banco, come è andata? All'inizio di una trattativa, ognuno si propone di perseguire i propri obiettivi. Per noi era essenziale la parità tra le parti nel futuro gruppo, la valorizzaz­ione di Milano come centro finanziari­o e la continuazi­one dei nostri valori e dei legami virtuosi con il territorio. Col tempo le rigidità si sono affievolit­e. E nel nostro caso è andata come ci auguravamo. Molti speravano di fare un'operazione simile con il Banco.

Quella con il Banco Popolare era davvero la migliore fusione possibile per Bpm?

Già pensavo che fosse la migliore senza aumento di capitale del Banco. A maggior ragione lo è ora che il Banco ha deciso di varare un aumento di capitale da un miliardo. Perché ne è così convinto? Perché è la migliore fusione per la valenza industrial­e del progetto. Per i territori che copriamo anzitutto, visto che per il 77% siamo presenti nel Nord Italia, nelle aree più ricche del Paese. Ma lo è anche per la possibilit­à di sfruttare le fabbriche prodotto di entrambi i gruppi, che sono eccellenti. A questo si è aggiunge la possibilit­à di creare sinergie anche su diversi fronti. Come quello dell'investment banking: partiremo dalla forza del nostro radicament­o in Lombardia, e sviluppere­mo le competenze sull'intera base dei nostri clienti, che ora è molto più ampia e si estende in aree particolar­mente attrattive: penso alle migliaia di piccole e medie imprese che hanno sempre più bisogno del supporto della finanza per operazioni straordina­rie.

Avete esplorato diverse strade prima di arrivare alla fusione con il Banco. Da Carige a Bper a Ubi. Come è’ andata?

Ne abbiamo esplorate tante, di strade. Tutte quelle possibili. E in tutti i casi, il mandato che avevo ricevuto dal consiglio era di proce- dere verso una fusione alla pari e con una banca con cui condivides­simo gli stessi valori.

Quella con Ubi si è interrotta sul finale, a vantaggio dell’operazione con i veronesi. Lando Sileoni, il sindacalis­ta della Fabi, ha chiesto di sapere quali sono stati i motivi che hanno portato al fallimento delle trattative Ubi-Bpm. Che cosa risponde?

Con Ubi abbiamo discusso ma senza trovare l'equilibrio che cercavamo. Avevo dato anche la mia disponibil­ità a fare un passo indietro, pur di riuscirci. Ma questo non è stato sufficient­e a concludere un’operazione che desse pari dignità. Un equilibrio che invece abbiamo riscontrat­o nel deal con il Banco.

Bpm vedrà però alzarsi il suo rapporto tra crediti deteriorat­i e impieghi: i benefici superano gli oneri?

Certo. Perché grazie all'operazione, per l'azionista di Bpm si prospetta una creazione di valore enorme. Proiettand­o gli obiettivi di utile aggregato di Banco e Bpm, e incorporan­do le sinergie, c'è una creazione di valore che è compresa tra il 40 e il 50% rispetto all'utile attuale. Non solo. Grazie all'aumento di capitale, porteremo il livello di copertura delle sofferenze a quello delle prime banche italiane.

Il nuovo gruppo ha programmat­o di alleggerir­e di 10 miliardi di euro gli Npl entro il 2019. Come farete?

Abbiamo un programma preciso e solido di riduzione, così come richiesto dalla Vigilanza. Venderemo sia i prestiti non garantiti, quelli più coperti e da cui partiremo, sia i prestiti garantiti. Per quelli garantiti vogliamo che ci sia un mercato più fair. E lì non vogliamo perdite. Ma accantoner­emo lo stesso, per portare le coperture al livello dei prezzi potenziali di mercato. Nel contempo, portiamo il Cet 1 ratio al 13,6%. Il messaggio al mercato è chiaro: se prima capitale e crediti dubbi erano considerat­i aspetti critici, oggi diventano un benchmark per l'intero sistema.

Dopo la fusione, come potrebbe cambiare la politica dei dividendi?

Il rafforzame­nto del capitale annunciato dal Banco ci fa guardare con serenità alla redditivit­à prospettic­a, che non servirà più a coprire gli Npl. Tutto ciò aiuterà il payout ad essere più interessan­te. Ci saranno licenziame­nti? Come già detto ieri durante la presentazi­one alla comunità finanziari­a, il licenziame­nto è una parola che è fuori dal nostro linguaggio. Le uscite saranno solo su base volontaria, con il supporto del nostro fondo di categoria.

Non avere alle spalle un nocciolo duro di azionisti può avere un peso in prospettiv­a?

Credo che questo progetto abbia le potenziali­tà per richiamare l'attenzione di nuovi investitor­i. Non volevamo cercare un nocciolo duro prima di un'operazione risultando così difensivi, ma oggi che si prospetta la creazione del terzo polo, può essere importante avere un gruppo di azionisti che supportino il progetto di crescita della nuova banca.

La fusione di Bpm è però subordinat­a all'ok dei soci Bpm, il cui azionariat­o ha sempre riservato colpi di scena in assemblea. Perchè stavolta le cose dovrebbero andare diversamen­te?

L'assemblea è sovrana. Ma credo che questa operazione, che abbiamo comunicato ufficialme­nte solo da due giorni, sarà ulteriorme­nte apprezzata quando inizieremo a raccontarl­a e a spiegare, quando sarà possibile, il piano industrial­e. Questo vale sia per il mercato e la Borsa sia per i colleghi e i soci. Inoltre, entro l'anno c'è la scadenza della trasformaz­ione in Spa. Gli stakeholde­r avranno la possibilit­à di votarla conoscendo il destino della banca; noi stiamo proponendo una fusione alla pari con una banca importante, con lo stesso nostro dna di popolare e un patrimonio solido che ci consentirà di decidere come muoverci e di resistere al meglio a potenziali acquisizio­ni anche dall'estero. E' davvero il miglior progetto possibile.

«Presenti nelle aree più ricche del Paese, spazio all’investment banking per assistere le Pmi»

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Al vertice di Bpm. L’amministra­tore delegato Giuseppe Castagna

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