Addio Paolo Poli, attore geniale e irriverente
1929-2016
Si è spento a 87 anni Paolo Poli, grande attore di teatro e tv e personalità irriverente della cultura italiana.
Scompare con Paolo Poli uno dei grandi nomi dello spettacolo italiano, non noto e non celebrato in vita quanto avrebbe meritato, la cui bravura e la cui importanza (anche nella storia del costume) andranno considerate oltre il non piccolo numero dei suoi ammiratori. Autore attore regista dei propri spettacoli, mai smanioso di successo, si fece conoscere nel vivace mondo del cabaret e dei teatrini degli anni sessanta, dalla sua Firenze a Milano e a Roma, recuperando un repertorio di canzonette degli anni del fascismo che, debitamente straniate e smontate dal di dentro, rivelate nella loro stupidità, erano in realtà delle letture critiche delle mitologie piccolo-borghesi, così come i suoi testi teatrali (memorabile la sua Rita da Cascia, ma anche la sua personale versione di un fumettone, La nemica, che aveva fatto piangere migliaia di italiani ed era ancora rappresentata con successo strappando lacrime e applausi negli anni del secondo dopoguerra) ne aggredivano le retoriche mammiste e nazionaliste. I suoi riferimenti erano chiari: la rivista, i fini dicitori, gli umoristi alla Novello, e il teatro, che fece in tempo ad ammirare, dell’ultima compagnia di grandi guitti di tradizione ottocentesca, la D’Origlia-Palmi amatissima anche da Carmelo Bene. Erano gli anni d’oro del teatro di rivista, quando ne nacque anche una versione più povera e intellettuale di cui furono protagonisti, non lontani da lui, Fo, Durano e Franco Parenti con il loro Dito nell’occhio.
Estraneo ad ambizioni di critica sociale come alla satira immediatamente politica, Poli coltivò una sua originalità e una sua libertà (talvolta affiancato dalla sorella Lucia, brava quanto lui), sapendo accortamente dove fermarsi, senza mai ambire a diventare famoso alla pari dei suoi coetanei del teatro e del cinema comico, i Gassman e i Sordi, i Tognazzi e, appunto, i Fo. Tranquillamente contento del proprio spazio e del proprio pubblico, evitò le grandi sale e i grandi numeri sapendo di aver bisogno di una complicità e di una vicinanza di pochi per la sua comicità allusiva, coinvolgente, spiritosa, sottilmente provocatoria ma allo stesso tempo rispettosa, perché piuttosto sussurrata che gridata.
Non era adatto alla commedia all’italiana, ma neanche alla tv, e fu piuttosto la radio che, quando essa osò servirsene, si rivelò un mezzo adatto alla sua misura. Campione di un laicismo di fatto, non dimenticò le sue origini toscane, praticandone quel tanto di tradizione popolare anche talora bassa, da pievano Arlotto o da Bertoldo e Bertoldino, senza mai eccedere, ma spesso con una sotterranea e latente cattiveria e spavalderia infantili, da Lucignolo più che da Pinocchio.
Ha lasciato qualche libro e qualche disco, qualche registrazione di spettacoli frequentati da un pubblico affezionato che aveva saputo far diventare suo complice, come un genietto molto malizioso, più asessuato che definito, che si fosse assunto il compito di divertirlo ricordandogli con una provocatoria sottigliezza, mai plateale, i rischi del conformismo, sempre in agguato, e del pregiudizio sociale, religioso, culturale. Mai dannunziano e mai tribunesco, mai rozzo ma neanche cacciatore del sublime, sempre vitalmente, genialmente maestro di humour, ci ha mostrato il risibile di una cultura che, pur modificandosi e fingendosi libera, rimaneva irrimediabilmente bigotta, e oggi solo diversamente bigotta.