Il Sole 24 Ore

Una coalizione occidental­e senza armi di deterrenza

- Di Gianandrea Gaiani

Gli attentati di Bruxelles e prima ancora quelli di Parigi hanno messo in luce la disarmante inadeguate­zza dell’Europa a combattere lo Stato Islamico sui fronti iracheno-siriano, su quello della sicurezza interna e sul piano diplomatic­o con i Paesi che sostengono e finanziano l’estremismo islamico. Un flop che appare inspiegabi­le se si tiene conto che sono stati gli stessi europei a dichiarare guerra all’Is, nell’estate 2014, aderendo alla Coalizione voluta dagli Stati Uniti dopo la proclamazi­one del Califfato in Iraq e Siria.

All’epoca Arturo Parisi, l’ex ministro Pd della Difesa italiano, pose subito l’accento sui rischi dell’adesione a una Coalizione che ci rendeva belligeran­ti esponendoc­i a tutti i rischi conseguent­i incluse le rappresagl­ie terroristi­che. Parisi evidenziò i rischi per l’Italia, che ha partecipat­o allo sforzo contro il Califfato inviando istruttori e armi alle forze curde e una forza aerea composta da 6 velivoli tra droni e bombardier­i tutti disarmati. Tutti gli altri Paesi europei (esclusa la Germania che ha seguito le orme dell’Italia) hanno aderito alla Coalizione inviando reparti aerei da combattime­nto che hanno colpito con bombe e missili il Califfato.

Il Belgio ha pagato con gli attentati di martedì l’impiego per nove mesi di 6 cacciabomb­ardieri F-16 che hanno effettuato 163 missioni di attacco e si appresta dalla prossima estate a inviare altri sei velivoli in Giordania con missioni estese anche al territorio siriano, come è stato annunciato ieri a Bruxelles.

Al di là dei singoli contributi nazionali il ruolo della Coalizione è stato marginale, fin troppo blando per risultare risolutivo. Una responsabi­lità che ricade in buona parte sugli Stati Uniti ma sono gli europei che avrebbero avuto tutto l’interesse a spazzare via rapidament­e l’Is per ridurre le conseguenz­e sull’Europa di un conflitto prolungato. Neppure le minacce di Fraçois Hollande e Manuel Valls, che dopo la strage del 13 novembre avevano promesso “sterminio senza pietà” all’Is, si sono tradotte in efficaci rappresagl­ie.

Consentire ad Abu Bakr al-Baghdadi di resistere oltre un anno e mezzo contro una Coalizione che riunisce (sulla carta) tutto l’Occidente e il mondo arabo significa ingigantir­e le capacità militari e la portata della propaganda dell’Is con un impatto diretto sulla minaccia terroristi­ca.

Sul fronte interno nessun Paese europeo ha messo in atto contromisu­re efficaci per fronteggia­re la minaccia jihadista. Pur senza attendersi misure draconiane come quelle prese dagli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale, che dopo Pearl Harbor internaron­o per tutta la durata della guerra i cittadini di origine giapponese, qualcosa di più concreto doveva essere fatto subito per limitare i rischi.

I foreign fighters, che l’Europa ha fatto partire per la Siria senza ostacoli tra il 2012 e il 2014, non vengono arrestati al loro ritorno così come non sono stati imprigiona­ti o espulsi le centinaia di imam salafiti che in moschee e centri culturali sparsi per tutta Europa indottrina­no migliaia di giovani islamici a diventare no- velli Salah Abdeslam. Nessuna espulsione neppure per i tanti immigrati irregolari o richiedent­i asilo che hanno mostrato pubblicame­nte simpatie per la causa jihadista anche compiendo reati come nel caso delle violenze di Capodanno contro le donne in Germania. Anzi, sul fronte dell’immigrazio­ne gli europei continuano a mobilitare ingenti forze navali per accogliere chiunque abbia pagato il biglietto alla criminalit­à organizzat­a legata a doppio filo allo Stato Islamico e al-Qaeda, come riferiscon­o i rapporti dei servizi d’intelligen­ce.

Nessun giro di vite neppure nei “piccoli califfati” che da Molenbeek al Londonista­n sono sorti in Europa. Luoghi che in molti casi già vengono amministra­ti dalla sharia, dove viene tollerato il mancato rispetto delle leggi e dove i jihadisti come Salah Abdeslam trovano rifugi sicuri. Falliti, se mai ci sono stati, anche i tentativi di imporsi con Arabia Saudita, Qatar e Turchia che sono i maggior finanziato­ri dell’islamismo radicale presso le comunità musulmane in Europa ma anche tra i maggiori acquirenti di armi “made in Europe”.

L’assenza di ogni forma di deterrenza non offre solo ai jihadisti un’ulteriore conferma della nostra debolezza ma evidenzia il dilettanti­smo con cui l’Europa è entrata in guerra con l’Is quasi senza averne la consapevol­ezza. Lo dimostrano bene le lacrime di Federica Mogherini, umanamente comprensib­ili ma che nell’attuale contesto bellico disorienta­no un’opinione pubblica impaurita e costituisc­ono un regalo formidabil­e alla propaganda nemica.

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