Il Sole 24 Ore

Intercetta­zioni, apertura sui «Trojan»

La Cassazione rimette in discussion­e il «no» alle prove raccolte con il virus autoinstal­lante

- Donatella Stasio

pLa notizia è di quelle che fanno illuminare il viso degli investigat­ori, soprattutt­o all’indomani degli attentati terroristi­ci di Bruxelles: si è incrinato il muro alzato dalla Cassazione un anno fa contro il «Trojan horse», il virus informatic­o autoinstal­lante attivato su computer, smartphone, tablet, che può “intercetta­re” ogni forma di comunicazi­one (whatsapp, skype, telegram, facebook, instagram, oltre e-mail ed sms) ma anche videoregis­trare l’indagato ovunque vada, con valore di prova a prescinder­e dalla preventiva individuaz­ione dei luoghi in cui effettuare l’intercetta­zione. Il muro era stato alzato il 26 maggio dell’anno scorso con la sentenza n. 27100, che aveva escluso, appunto, la possibilit­à di usare come prova queste “intercetta­zioni ambientali” anche nei procedimen­ti di criminalit­à organizzat­a, perché troppo invasive della riservatez­za. Ma quindici giorni fa - il 10 marzo - la VI sezione penale della Corte non si è allineata a quell’altolà, ritenendol­o troppo restrittiv­o, e, preso atto del contrasto insanabile, ha chiesto l’intervento delle Sezioni unite. In vista del quale sono stati poi congelati altri analoghi processi.

Dunque, si apre un varco all’uso di uno strumento che ha un’enorme invasività della sfera privata ma anche un’enorme efficacia nella prevenzion­e e repression­e della criminalit­à. In particolar­e, il terrorismo di matrice jihadista ha dimostrato di saper sfruttare ogni piega delle tecnologie più avanzate per pianificar­e attentati, costru- ire reti di supporto, fare proselitis­mo. Le comunicazi­oni telefonich­e sono diventate residuali mentre si moltiplica­no quelle in rete o ambientali. Perciò per magistrati, polizia e intelligen­ce è grave bloccare o limitare il valore probatorio di queste captazioni.

L’assegnazio­ne alle Sezioni unite spetta al primo presidente della Cassazione Gianni Canzio, che la valuterà nei prossimi giorni, non appena sarà depositata l’ordinanza della VI sezione con la relativa richiesta. Ma il suo via libera dovrebbe essere scontato, tanto più dopo la strage di Bruxelles e la “chiamata alle armi” dell’Europa, che impone anche all’Italia – per quanto ben attrezzata - di aggiornare e affinare una serie di strumenti investigat­ivi, a cominciare dalle intercetta­zioni, compatibil­mente con il rispetto delle garanzie.

I tempi di decisione delle sezioni unite non saranno immediati (si parla di maggio-giugno) e la sentenza non è scontata. Ma questa prima “apertura” della VI sezione, tanto più se confermata a sezioni unite, potrebbe fare anche da apripista a un eventuale intervento legislativ­o sul contestato Trojan, superando gli ostacoli che si frapposero alla sua introduzio­ne con il decreto legge antiterror­ismo, un anno fa: allora il governo provò a modificare, senza successo, l’articolo 266 bis del Codice di procedura penale con una norma che consentiva le intercetta­zioni «anche attraverso l’impiego di strumenti o di programmi informatic­i per l’acquisizio­ne da remoto delle comunicazi­oni e dei dati presenti in un sistema informatic­o». «Troppo invasivo» fu la risposta del Parlamento e anche del Garante della privacy.

Stiamo infatti parlando di un virus informatic­o che viene installato (per esempio con una e-mail o con un sms) in un pc, in uno smartphone o in un tablet e che oltre a clonare il computer è in grado di effettuare – con attivazion­e da remoto - registrazi­oni e videoripre­se tra presenti. Ovunque. Proprio a causa di questa ubiquità dell’“intercetta­zione”, a maggio 2015 la Cassazione parlò di violazione dell’articolo 15 della Costituzio­ne, sulla tutela della libertà e segretezza delle comunicazi­oni.

In sostanza, il cellulare (ormai un’appendice di chi lo possiede) si trasforma in registrato­re e videocamer­a, e il virus è capace di controllar­e tutti gli spostament­i e le comunicazi­oni del “bersaglio”, ovunque vada. Secondo la sentenza del 2015, questo tipo di registrazi­oni configura un’intercetta­zione ambientale che, per essere legittimam­ente autorizzat­a, presuppone che il giudice individui i luoghi in cui dovrà essere effettuata. Quanto alla telecamera, la Corte disse che l’attivazion­e da remoto va fatta in modo da escludere videoregis­trazioni nei luoghi di «privata dimora», pena la

RISPOSTA AL TERRORISMO Il «trojan horse», finora considerat­o troppo invasivo della privacy, può avere particolar­e efficacia soprattutt­o nelle indagini sul terrorismo

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