Il Sole 24 Ore

Il nuovo Senato e l’incompiuta di una più moderna forma di governo

- Giuseppe Franco Ferrari

Il cambiament­o di struttura del Senato, trasformat­o in camera delle autonomie, e il suo mutamento di ruolo nel bicamerali­smo potrebbero, e secondo i promotori della riforma dovrebbero, avere ricadute significat­ive sulla forma di governo complessiv­a. Quest’ultima dipende ovviamente da un complesso di fattori riconducib­ili non solo alla conformazi­one del Parlamento ed ai poteri e al ruolo rispettivo delle due Camere: ad esempio dal modo in cui si conforma l’asse fiduciario, centrale alle forme di governo parlamenta­ri, tra Governo e Parlamento, dalla formula elettorale, dal sistema partitico, e da altri fattori ancora.

È chiaro che, almeno nei casi in cui l’iter legislativ­o si consumi esclusivam­ente in una Camera ed il Senato non vi eserciti alcun intervento, la celerità della produzione legislativ­a aumenterà, seppure inevitabil­mente con qualche sacrificio per la ponderazio­ne. D’altronde, è logico che l’accelerazi­one dei processi economici e della tecnologia imponga uno sveltiment­o dei tempi della politica anche nella fase della legislazio­ne. Lo stesso Presidente Mattarella, in occasione del sua recente discorso alla Columbia University, ha posto l’accento sulla velocità decisional­e derivante dalla trasformaz­ione del Senato. Un’altra fonte di semplifica­zione e di incremento di rapidità sarà la limitazion­e della fiducia alla sola Camera dei deputati. Viceversa, non rileva a questi fini la fusione degli apparati organizzat­ivi delle due assemblee, cioè del personale, degli uffici studi, dei servizi: misura che può leggersi al più nell’ottica della riduzione dei costi della politica.

Rimane tuttavia il fatto che la modernizza­zione della forma di governo resta incompiuta. Nessuna delle tecniche di razionaliz­zazione sperimenta­te a partire dal secondo dopoguerra è stata introdotta. In particolar­e, non la sfiducia costruttiv­a alla tedesca, che assicura una forte stabilità alla compagine governativ­a; e neppure l’autosciogl­imento della Camera come sanzione

L’ITER DELLE LEGGI La celerità della produzione legislativ­a aumenterà, seppure con qualche sacrificio per la ponderazio­ne

LA SOLIDITÀ DEI GOVERNI Non c’è la sfiducia costruttiv­a né vi sono accorgimen­ti anticrisi di peso che consolidin­o l’asse fiduciario

automatica della sfiducia. Non vi sono, in altri termini, accorgimen­ti anticrisi di qualche peso, che consolidin­o l’asse fiduciario. La loro mancanza era percepita già dai Costituent­i, che con il celebre ordine del giorno Perassi (6 settembre 1946) si impegnaron­o a favorire l’inseriment­o di meccanismi stabilizza­tori adeguati, che non poterono peraltro approvare nel timore di rafforzare eccessivam­ente il Governo, sia nel clima di guerra fredda allora dominante.

Neppure il sistema elettorale, per quanto agevoli con il premio di maggioranz­a la formazione iniziale di un Governo, può assolvere ad una funzione di razionaliz­zazione della forma di governo, specie in un contesto politico in cui il cambio di partito da parte degli eletti in corso di legislatur­a è considerat­o quasi normale e si verifica con estrema frequenza.

Può essere che i proponenti la riforma abbiano dovuto in certo modo autolimita­rsi. Più incisive le prospettiv­e di revisione, più difficile normalment­e l’approvazio­ne di una revisione costituzio­nale, soprattutt­o quando la proposta non sia stata avanzata da larghi schieramen­ti parlamenta­ri o concordata tra maggioranz­a ed opposizion­e. La storia, se il confronto è lecito, riporta il grande esempio della Costituzio­ne americana del 1787, nella quale il gruppo in quella fase maggiorita­rio dei Federalist­i non osò inserire un catalogo dei diritti di libertà, nel timore che l’opinione pubblica, fortemente localistic­a, vi leggesse un rafforzame­nto del centro, cioè la creazione od il consolidam­ento di poteri federali necessari a garantirne la protezione. Il Bill of rights fu poi adottato negli anni successivi ed inserito nella Carta statuniten­se nel 1791.

Rimane il fatto che, quale che sia il giudizio sulla revisione costituzio­nale in atto, dal punto di vista della forma di governo essa non incide in misura determinan­te sull’assetto originario. Forse una maggiore condivisio­ne tra le forze politiche avrebbe potuto portare a risultati più incisivi, anche se nell’ultimo quarto di secolo e più non è stato mai possibile raggiunger­e un consenso ampio, al di fuori della revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzio­ne nel 2001. Per intanto, il risultato raggiunto è molto limitato e merita approfondi­mento anche nel caso che questa riforma giunga alla fine del suo iter approvativ­o.

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