Il nuovo Senato e l’incompiuta di una più moderna forma di governo
Il cambiamento di struttura del Senato, trasformato in camera delle autonomie, e il suo mutamento di ruolo nel bicameralismo potrebbero, e secondo i promotori della riforma dovrebbero, avere ricadute significative sulla forma di governo complessiva. Quest’ultima dipende ovviamente da un complesso di fattori riconducibili non solo alla conformazione del Parlamento ed ai poteri e al ruolo rispettivo delle due Camere: ad esempio dal modo in cui si conforma l’asse fiduciario, centrale alle forme di governo parlamentari, tra Governo e Parlamento, dalla formula elettorale, dal sistema partitico, e da altri fattori ancora.
È chiaro che, almeno nei casi in cui l’iter legislativo si consumi esclusivamente in una Camera ed il Senato non vi eserciti alcun intervento, la celerità della produzione legislativa aumenterà, seppure inevitabilmente con qualche sacrificio per la ponderazione. D’altronde, è logico che l’accelerazione dei processi economici e della tecnologia imponga uno sveltimento dei tempi della politica anche nella fase della legislazione. Lo stesso Presidente Mattarella, in occasione del sua recente discorso alla Columbia University, ha posto l’accento sulla velocità decisionale derivante dalla trasformazione del Senato. Un’altra fonte di semplificazione e di incremento di rapidità sarà la limitazione della fiducia alla sola Camera dei deputati. Viceversa, non rileva a questi fini la fusione degli apparati organizzativi delle due assemblee, cioè del personale, degli uffici studi, dei servizi: misura che può leggersi al più nell’ottica della riduzione dei costi della politica.
Rimane tuttavia il fatto che la modernizzazione della forma di governo resta incompiuta. Nessuna delle tecniche di razionalizzazione sperimentate a partire dal secondo dopoguerra è stata introdotta. In particolare, non la sfiducia costruttiva alla tedesca, che assicura una forte stabilità alla compagine governativa; e neppure l’autoscioglimento della Camera come sanzione
L’ITER DELLE LEGGI La celerità della produzione legislativa aumenterà, seppure con qualche sacrificio per la ponderazione
LA SOLIDITÀ DEI GOVERNI Non c’è la sfiducia costruttiva né vi sono accorgimenti anticrisi di peso che consolidino l’asse fiduciario
automatica della sfiducia. Non vi sono, in altri termini, accorgimenti anticrisi di qualche peso, che consolidino l’asse fiduciario. La loro mancanza era percepita già dai Costituenti, che con il celebre ordine del giorno Perassi (6 settembre 1946) si impegnarono a favorire l’inserimento di meccanismi stabilizzatori adeguati, che non poterono peraltro approvare nel timore di rafforzare eccessivamente il Governo, sia nel clima di guerra fredda allora dominante.
Neppure il sistema elettorale, per quanto agevoli con il premio di maggioranza la formazione iniziale di un Governo, può assolvere ad una funzione di razionalizzazione della forma di governo, specie in un contesto politico in cui il cambio di partito da parte degli eletti in corso di legislatura è considerato quasi normale e si verifica con estrema frequenza.
Può essere che i proponenti la riforma abbiano dovuto in certo modo autolimitarsi. Più incisive le prospettive di revisione, più difficile normalmente l’approvazione di una revisione costituzionale, soprattutto quando la proposta non sia stata avanzata da larghi schieramenti parlamentari o concordata tra maggioranza ed opposizione. La storia, se il confronto è lecito, riporta il grande esempio della Costituzione americana del 1787, nella quale il gruppo in quella fase maggioritario dei Federalisti non osò inserire un catalogo dei diritti di libertà, nel timore che l’opinione pubblica, fortemente localistica, vi leggesse un rafforzamento del centro, cioè la creazione od il consolidamento di poteri federali necessari a garantirne la protezione. Il Bill of rights fu poi adottato negli anni successivi ed inserito nella Carta statunitense nel 1791.
Rimane il fatto che, quale che sia il giudizio sulla revisione costituzionale in atto, dal punto di vista della forma di governo essa non incide in misura determinante sull’assetto originario. Forse una maggiore condivisione tra le forze politiche avrebbe potuto portare a risultati più incisivi, anche se nell’ultimo quarto di secolo e più non è stato mai possibile raggiungere un consenso ampio, al di fuori della revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione nel 2001. Per intanto, il risultato raggiunto è molto limitato e merita approfondimento anche nel caso che questa riforma giunga alla fine del suo iter approvativo.