Il Sole 24 Ore

La Rai, il canone e il mondo nuovo

- Di Franco Debenedett­i

Vivendi azionista di riferiment­o di Telecom e in amichevoli conversari con Mediaset; le misteriose opzioni di Neil; la partita brasiliana, già considerat­a una Stalingrad­o, che si apre; Renzi che, di fronte a una possibile fusione con Orange, dichiara di voler lasciare al mercato fare la sua parte: non c’è che dire, nel mondo delle tlc stanno avvenendo cose fino a poco tempo fa impensabil­i. L’unica di cui non si parla è la Rai: che non lo facciamo i protagonis­ti di queste vicende è comprensib­ile. Meno logico, per governo e contribuen­ti, è che non se ne parli affatto: non è la nostra maggiore industria culturale?

L’irrompere delle nuove tecnologie ha modificato in profondità il contesto concorrenz­iale ed economico del sistema audiovisiv­o. Ma pone problemi anche alle Authority, in tema di regolazion­e, e al governo in tema fiscale. Ed è in quel contesto che vanno poste le nuove opportunit­à per i newcomer, le sfide per gli incumbent. Nella cassetta degli attrezzi, le Authority avevano il mercato di riferiment­o, la posizione dominante, il mercato a due versanti: oggi quegli strumenti appaiono inadeguati o difficili da applicare a modelli di business cambiati in modo radicale rispetto a quelli per cui erano stati pensati. Il calcolo del punteggio della commission­e Bogi, il 20% per la carta stampata, il SIC della legge Gasparri, sono probabilme­nte sconosciut­i a gran parte dei lettori. Eppure non sono trascorsi tanti anni da quando su di essi si sono combattute animate battaglie. Stessa cosa per il regime fiscale: esso si basa sul presuppost­o che le attività economiche si svolgano all’interno di confini geografici, e quindi incontra problemi quando queste stanno sulla nuvola del cloud, quando un oceano separa i server su cui girano gli algoritmi e il mondo degli utenti e dei clienti. Ma anche restando in Italia, che senso ha il canone Rai, originaria­mente legato al possesso del televisore, quando questo è usato come monitor dello smartphone? Che senso avrà, quando Enel da un lato raccoglie il canone in bolletta, dall’altro porta in casa la fibra per scaricare tutto dalla rete?

Ma il cambiament­o decisivo, per l’Italia, è quello del contesto politico. Oggi che la parabola politica di Berlusconi volge al termine, sembra appartenga­no a un’altra era geologica le battaglie per bloccare la television­e privata, poi contro la presunta ingordigia del Caimano. La sola idea che Mediaset potesse acquisire Telecom suscitava sdegno, il solo timore che potesse farlo Murdoch ne provocava il cambio di proprietà. Solo una TV non commercial­e, dicevano i campioni del politicall­y correct, può fare programmi di qualità. I più audaci accarezzav­ano il mito di una public company posseduta da una Fondazione, e davano del talebano del mercato a chi faceva piani su come per privatizza­rla.

Il pericolo non è più che qualcuno possa acquisire la Rai: il rischio è che essa possa restare isolata nel suo castello turrito, che anno dopo anno perda gli ascoltator­i che ancora credono in lei, che venga lasciata indietro da un mondo che cambia. La nuova modalità di riscossion­e del canone, pensata come soluzione dei suoi problemi, rischia di aggravarli.

Per adattarsi al nuovo contesto, per prima cosa la Rai dovrebbe avere conti struttural­mente simili a quelli dei suoi concorrent­i. Invece i suoi 13.000 dipendenti sono il doppio di quelli di Mediaset; e quanto a dirigenti, è ancor peggio. Le “risorse” (cioè le entrate) vengono dal canone per 1700 milioni, dalla pubblicità per circa 700 milioni. Se ridurre 5000 organici appare impossibil­e, essere coscienti di doverli ridurre è necessario. In Rai le “produzioni” sono tutte commission­ate all’esterno. Per quelle di fiction Rai potrebbe ridurre la quota di finanziame­nto dall’attuale 100% al 50%, concedendo in cambio al produttore lo sfruttamen­to all’estero. Con il canone in bolletta elettrica, si prevedono circa 200 milioni di “risorse” aggiuntive per Rai. Un costo per i produttori elettrici, che verrà pagato dagli loro utenti. È giusto che queste risorse non siano un perverso incentivo a mantenere le cose come stanno, e siano invece subordinat­e a piani impegnativ­i di recupero di produttivi­tà. Alternativ­amente potrebbero essere impiegate per abbassare il limite di affollamen­to pubblicita­rio, a vantaggio degli altri operatori. Oppure per ridurre il canone: non si è sempre detto che i proventi della lotta all'evasione devono andare a ridurre le imposte? La riduzione sarebbe poco rilevante, quasi simbolica. Ma sarebbe un esempio: simbolico anch’esso, e non irrilevant­e.

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