Consulente, perché pagarlo?
Una situazione che apre ampi spazi per forme di consulenza standardizzate o automatizzate (si veda l’articolo in basso).
Il rapporto degli italiani con la consulenza non è dei migliori...
Effettivamente il numero di coloro che vi fanno ricorso è limitato, non supera il 20%. Secondo gli ultimi dati, che saranno resi noti nel prossimo rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie, si nota una riduzione di coloro che si rivolgono ad amici e conoscenti, il cosiddetto informal advising, mentre aumenta il fai da te. Quindi le vicende recenti, come il bail-in, hanno spinto a tirare ancora di più i remi in barca piuttosto che fare emergere il valore della consulenza.
Ma c’entra la questione dei costi o si tratta solo di un servizio poco conosciuto?
Uno dei fattori più importanti che motivano l’investimento è la possibilità di sostenere costi contenuti. In assoluto si pone al terzo posto, dopo la fiducia negli intermediari finanziari e la possibilità di in- vestire in prodotti a capitale o a rendimento minimo garantito. In generale, c’è uno scarso apprezzamento del servizio. E una certa difficoltà persino a riconoscerlo.
Ovvero?
Una quota molto alta di coloro che si sono avvalsi della consulenza fa fatica a spiegare che tipo di servizio ha ricevuto, se si è trattato di consulenza indipendente, basata su una gamma ampia di prodotti o solo su strumenti emessi dal gruppo bancario di appartenenza del consulente. Ancor meno ricordano se la proposta è venuta da loro o dal consulente.
Secondo quali criteri si valuta il servizio ricevuto?
Anche qui la situazione non è rosea. Di solito si tende a dare più importanza a elementi come una generica disponibilità e attenzione prestata dal consulente. Sfugge invece che dovrebbe essere valutato se il servizio ci ha orientato verso scelte di investimento migliori. Premia più l’elemento relazionale che l’efficacia della prestazione.
Un recente quaderno della Con- sob ha spiegato che la maggiore educazione finanziaria spinge a rivolgersi a un consulente...
Si tratta di una conclusione molto importante perché evidenzia che la consulenza non può essere considerata un sostituto dell’educazione finanziaria: le persone meno “literate” tendono a non rivolgersi a chi potrebbe aiutarle a migliorare le proprie scelte di investimento. Il lavoro mostra inoltre che la maggiore conoscenza riduce l’overconfidence, cioè l’immotivata fiducia in se stessi che a sua volta può indurre ad assumere livelli di rischio eccessivi, inadeguati rispetto al proprio profilo finanziario e alla propria attitudine al rischio, e a ridurre la domanda di consulenza. Gli studi condotti finora tendevano a dire piuttosto il contrario, ossia che l’aumento di conoscenze può spingere all’overconfidence. La conclusione è importante anche sul piano di policy, perché sostiene l’idea che l’educazione finanziaria sia utile anche perché migliora la capacità di valutare correttamente le proprie competenze.