Il Sole 24 Ore

Il debito pubblico e la fiducia reciproca

- Di Guido Tabellini

Perché è così difficile completare l’Unione Economica e Monetaria Europea (Uem), dotandola di una capacità fiscale adeguata? E cosa può fare il governo italiano per sbloccare la situazione?

La risposta alla prima domanda è che, a torto o a ragione, la Germania non si fida più del Sud Europa. A questo proposito, è utile riassumere la visione tedesca, così come emerge ad esempio dai rapporti del loro Consiglio degli esperti economici nominati, o dai discorsi del governator­e della Bundesbank.

Secondo questa visione, qualunque riforma istituzion­ale che riallochi competenze e responsabi­lità economiche dagli stati nazionali all’Europa deve rispettare un principio fondamenta­le: chi ha il controllo su determinat­i strumenti di politica economica deve anche essere pienamente responsabi­le per le conseguenz­e delle sue azioni. Questo principio può essere declinato in due modi alternativ­i: 1) la sovranità fiscale ed economica è trasferita al livello Europeo, insieme alla condivisio­ne dei rischi e delle responsabi­lità tra paesi; 2) la sovranità resta nazionale, il che preclude qualunque forma di condivisio­ne di rischi e responsabi­lità.

La prima ipotesi oggi non è realizzabi­le, perché nessuno accettereb­be di lasciare che sia l’Europa a decidere il livello di imposizone fiscale, o di spesa pubblica, o le istituzion­i sul mercato del lavoro. Dunque rimane solo la seconda ipotesi, e qui la sfida principale è come evitare che gli errori di alcuni stati membri ricadano sui cittadini di altri stati. Quindi No a un sistema comune di assicurazi­one dei depositi, No all’emissione di debito Europeo, No alla condivisio­ne dei rischi. Occorre invece ridurre i rischi, inducendo le banche a ridurre la quota di debito pubblico domestico, intensific­ando il bail in dei creditori e accettando che le crisi sul debito sovrano si risolvono anche con la ristruttur­azione del debito e non solo con ulteriori prestiti. Ma se vogliamo che tutti questi No diventino un Sì, dobbiamo dare un segnale sul nostro debito.

Tra le ipotesi 1 e 2 c’è tutto un continuum, naturalmen­te. Ma i tedeschi non si fidano più. Vedono che la reazione comune alla crisi (la svolta della Bce, la nascita dell’Esm) ha avuto successo, ma si è anche accompagna­ta a cambiament­i politici interni in molti paesi, e ha portato a un rallentame­nto del risanament­o fiscale e delle riforme.

Non sappiamo cosa sia negoziabil­e in questa posizione e cosa non lo sia. Ma certamente è un’impostazio­ne ampiamente condivisa in Germania, anche dai politici e dagli economisti più filo-europei. Naturalmen­te, se questa posizione dovesse prevalere, non solo sarebbe impossibil­e completare l’Uem per scongiurar­e nuove crisi finanziari­e, ma al contrario si farebbero gravi passi indietro. Il rischio di crisi finanziari­e tornerebbe a essere tangibile, e salirebber­o sia il costo del capitale per le imprese italiane che il costo del debito pubblico. Anziché avere più integrazio­ne, andremmo verso la disintegra­zione dell’area Euro.

Cosa può fare il governo italiano per facilitare un compromess­o ragionevol­e e spingere l’Europa verso una maggiore integrazio­ne economica e politica? La cosa più importante è ristabilir­e la fiducia reciproca. E questo significa innanzitut­to far scendere il debito pubblico. Non solo perché ciò fa parte degli accordi europei, ma anche perché obiettivam­ente il debito pubblico italiano ha raggiunto livelli che mettono a repentagli­o la stabilità finanziari­a, non solo dell’Italia.

La riduzione del debito è una priorità anche in una prospettiv­a puramente nazionale. La distanza negoziale tra la Germania e il Sud Europa sul completame­nto dell’Uem è così grande, che non è detto che si trovi un compromess­o, quantomeno non in tempi brevi. Se così fosse, l’Uem resterebbe ancora in un limbo, con la politica monetaria ormai quasi priva di strumenti, e senza una capacità fiscale comune per risollevar­e la domanda interna o per far fronte a nuovi shocks. In questa prospettiv­a, sarebbe comunque molto rischioso rinviare ulteriorme­nte la discesa del debito pubblico italiano.

Un anno fa, l’andamento tendenzial­e del rapporto debito/ Pil italiano era previsto in discesa al 130,3% nel 2016, e al 126,1% nel 2017 (da oltre il 132% a fine 2015). Nel corso del 2015 il governo ha rallentato il sentiero di discesa del debito due volte: ad aprile l’obiettivo per il 2017 è stato alzato di oltre un punto percentual­e, e a settembre, è stato portato a quasi il 128%. Nel frattempo le previsioni economiche sono peggiorate, e ora l’obiettivo di debito per il 2017 sarà alzato ulteriorme­nte (anche se continuere­mo a promettere che negli anni successivi il debito scenderà rapidament­e). Di quanto lo scopriremo tra due settimane, quando il governo presenterà il Def, e con esso il nuovo quadro programmat­ico della finanza pubblica.

È su questo che si misurerà la volontà del governo di spingere davvero verso una maggiore e migliore integrazio­ne europea. Perché ogni innalzamen­to del sentiero del debito, non solo rende più fragile il nostro paese, ma allontana ancora di più la prospettiv­a di un buon compromess­o per completare l’Uem.

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