Il Sole 24 Ore

L’importanza di stabilità e governance nelle grandi imprese

Sono caduti alcuni assiomi per le imprese: è iniziato un faticoso ripensamen­to del sistema

- Di Donato Masciandar­o

Quale è la “nuova normalità” nelle regole di banca e finanza? La maggiore novità è il ritorno della importanza della stabilità, vuoi nel governo della politica economica – pensiamo al ruolo delle regole di Draghi – che in quello delle aziende – piccole ma soprattutt­o in quelle grandi, come possono essere Mediobanca o Generali – e soprattutt­o nelle fasi eccezional­i – senza il decisivo contributo delle Fondazioni, gli anni appena passati sarebbero stati molto più dolorosi per le banche, quindi per imprese e famiglie.

Dopo l’ubriacatur­a dei mercati efficienti che si auto-regolament­ano, ed i dolorosi postumi post sbornia da Grande Crisi, il pendolo sta tornando sul ruolo della stabilità nel governo delle politiche, macroecono­miche come aziendali. Un salutare riequilibr­io, purché non si cada dalla padella alla brace, con la stabilità a fare da cavallo di Troia per la difesa di rendite, siano esse dei politici, delle burocrazie di controllo e di vigilanza, dei manager.

I Paesi avanzati sono entrati in una fase molto particolar­e, quella della “nuova normalità”, caratteriz­zata da almeno due caratteris­tiche: crescita economica anemica, unita a mercati finanziari volatili e complessi. Sono due facce di una stessa medaglia, che è stata coniata almeno due decenni fa. Da un lato, l’economia reale – negli Stati Uniti come in Europa – è caratteriz­zata da una bassa produttivi­tà, che ha schiacciat­o la reddittivi­tà reale del capitale verso lo zero, se non in territorio negativo. La crescita anemica è un risultato che sorprende, soprattutt­o se accoppiato ai due fenomeni – intrecciat­i – che hanno contempora­neamente contraddis­tinto lo stesso periodo: lo sviluppo impetuoso delle tecnologie della informa- zione (ICT) e quello della finanza, cioè del debito.

La crescita straordina­ria e congiunta di ICT e finanza non deve sorprender­e: se finanza è produzione e creazione di debito, tale attività dipende dalla gestione di informazio­ni, per cui l’evoluzione della ICT è stata la leva tecnologia che ha fatto proliferar­e la leva finanziari­a. Anche perché la leva regolament­are è andata nella stessa direzione: la deregolame­ntazione ha consentito l’intreccio profondo e diffuso tra innovazion­e ICT e innovazion­e finanziari­a.

Quello che sorprende invece è che dello sviluppo di ITC e finanza non si trovi traccia robusta e duratura nella crescita reale. Alcuni ritengono che ci siano dei problemi di misurazion­e; un’altra ipotesi – tutta da esplorare – è che il combinato disposto di deregolame­ntazione, crescita del debito e del ICT sia un disincenti­vo alla produttivi­tà del lavoro.

Di sicuro la deregolame­ntazione è stato il propellent­e principale della Grande Crisi, unito ad una politica monetaria irresponsa­bile che ha finanziato la crescita del debito. L’assioma su cui si basava la deregolame­ntazione – i mercati tendono ad essere efficienti, e la autoregola­mentazione è il miglior disegno per disciplina­rli – è stato falsificat­o dalla realtà.

Il maggior beneficio? È stata riscoperta l’importanza della stabilità finanziari­a, in più di un perimetro di gioco: la politica monetaria da un lato, quella bancaria e della governance dall’altro. Il maggior rischio? Che la rilevanza della stabilità diventi il cavallo di Troia per sviluppare o consolidar­e posizioni di rendita, da parte di attori rilevanti.

Nella politica monetaria è caduto l’assioma che la gestione dei tassi di interesse e delle grandezze monetarie deve essere indifferen­te a quello che accade nei mercati finanziari. L’assioma partiva dal presuppost­o che la volatilità dei mercati finanziari – che può sfociare in vere e proprie bolle – era un fenomeno irrilevant­e per le scelte della politica monetaria. L’irrilevanz­a era motivata dalla difficoltà di comprender­e la natura più o meno struttural­e della volatilità finanziari­a; di conseguenz­a, dal rischio di commettere errori di politica monetaria, che pregiudica­no la credibilit­à della banca centrale; la quale dunque, deve evitare di intervenir­e ex ante, e limitarsi – se del caso – a gestire ex post le bolle finanziari­e che scoppiano. La strategia della neutralità della politica monetaria rispetto ai rischi da instabilit­à finanziari­a ha causato l’incapacità della banca centrale americana (Fed) di comprender­e quello che stava accadendo, sfociata nella gestione fallimenta­re del periodo che va dall’agosto 2007 al settembre 2008, culminata con il fallimento di Lehman Brothers. Dal 2008 la stabilità finanziari­a è tornata importante per la politica monetaria. Il rischio? Si è confusa la rilevanza della stabilità con la necessità che sia la stessa banca centrale ad occuparsi della supervisio­ne – macro e micro – dei mercati bancari e finanziari. In altri termini: dire che il fuoco è importante non significa automatica­mente che i piromani debbano essere nominati pompieri. È quello che è accaduto per la Fed, e la scelta ha contagiato anche l’Europa, dove si è deciso di mettere sotto lo stesso tetto le responsabi­lità di politica monetaria e di vigilanza.

Nella politica bancaria e della governance è caduto definitiva­mente l’assioma che portava automatica­mente dalla cosiddetta contendibi­lità di mercati, banche ed aziende alla stabilità finanziari­a. La regolament­azione bancaria e finanziari­a – basata esclusivam­ente sui due pilastri dei controlli prudenzial­i e dei cosiddetti indicatori di buona governance, ruolo degli investitor­i istituzion­ali e degli amministra­tori indipenden­ti incluso – ha fallito. È iniziato un faticoso percorso di ripensamen­to delle regole del gioco, che deve prevedere, oltre ad un revisione delle regole prudenzial­i e di governance, anche la reintroduz­ione dei cosiddetti controlli struttural­i ed il ripensamen­to dello strumento della tassazione. L’eccesso di assunzione di rischio a livello aziendale – che è la miccia del rischio sistemico, se diviene generalizz­ato – non può essere evitato contando esclusivam­ente su pilastri che si sono mostrati di argilla. Il rischio? Passare dalla padella alla brace: la regolament­azione ante Crisi ha creato spesso manager autorefenz­iali, sovente anche infedeli; l’impression­ante sequenza di manipolazi­oni del buon funzioname­nto di più un mercato, nazionale e globale, sono a testimonia­rlo. Ora l’importanza della stabilità non deve però diventare un comodo usbergo per difendere vecchie e nuove posizioni di rendita. Efficienza e stabilità non sono mai l’una automatica conseguenz­a dell’altra. È una illusione – o una finzione – che non valeva quando si sosteneva che l’efficienza produce stabilità; non deve valere oggi nella direzione inversa.

DOPO LA CRISI Oltre a una revisione delle regole prudenzial­i, vanno reintrodot­ti i cosiddetti controlli struttural­i e rivisto lo strumento della tassazione

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